Sir Arthur C. Clarke, inglese del Somerset, 90 anni a dicembre, vive dal 1956 a Colombo, capitale dello Sri Lanka. Scrive sempre saggi e romanzi di fantascienza, bellissimi. Gioca sempre a ping'pong, male. Fa sempre immersioni subacquee in quel mare che poco più di due anni fa, con le onde di tsunami, devastò buona parte dell'isola e delle coste dell'Oceano Indiano; un evento da lui previsto addirittura nel 1982. É stato fra i primi al mondo a usare il computer per scrivere e la posta elettronica per comunicare con il resto della Terra, grazie ai satelliti artificiali nati da una sua idea. Per comunicare con altri mondi, e con le persone che li abiteranno tra decine, centinaia o migliaia di anni, usa i suoi romanzi. Fra tutti, "2001: Odissea nello spazio" e i successivi capitoli della saga.
La gente di Colombo lo chiama «L'Uomo sulla Luna» perché in effetti lassù c'è stato più di tutti gli altri.
Lei è universalmente famoso per tre motivi: 1) É stato l'inventore nel 1945 della famosa Orbita di Clarke che ha reso possibili i satelliti per telecomunicazioni; 2) Ha progettato l'ascensore spaziale, con cui in futuro i razzi potranno decollare dall'orbita terrestre e non più dal nostro Pianeta; 3) É l'autore di 2001, il film più visionario, più bello, più complesso e più metafisico dedicato all'evoluzione dell'umanità, al suo passato e al suo futuro, immediato e lontanissimo. Quale delle tre qualifiche le piace di più?
Sono felice e riconoscente all'umanità che mi considera l'inventore dei satelliti per telecomunicazioni e il principale proponente dell'ascensore spaziale. Ma preferirei essere ricordato come un bravo scrittore.
In una delle scene più famose di «2001» la scimmia, guardando la Luna, scaglia un osso per aria. Cosa rappresenta per lei quell'osso: un simbolo di potere, uno strumento di comunicazione o la nascita della tecnologia?
Può essere visto in tutti e tre i modi. Sono ormai passati 40 anni da quando Stanley Kubrick e io realizzammo «il proverbiale buon film di fantascienza» e non ricordo più tutto ciò che era alla base di ogni nostra decisione creativa. La sequenza dell'osso è rimasta famosa anche per essere il flash'forward più lungo del cinema, circa tre milioni di anni, tra la scimmia, chiamata «Moonwatcher» [l'osservatore della Luna] e l'anno 2001. Daniel Richter, il mimo che interpretava la scimmia, ha scritto un libro di memorie su questa sequenza.
A proposito di evoluzione. Oggi attraverso la scienza e la tecnologia possiamo guidare quella delle specie terrestri, compresa la nostra. Ciò si può ancora considerare un percorso naturale, dato che la scienza è comunque un prodotto dell'evoluzione della specie umana?
La colonizzazione dello spazio è il prossimo passo logico nella nostra evoluzione come specie. É il grande passo successivo a quello che portò i nostri antenati, quando erano pesci, a trasferirsi dal mare sulla terraferma. Immagini un pesce tradizionalista che, un miliardo di anni fa, diceva ai suoi parenti divenuti anfibi: «La vita sulla terraferma non è paragonabile a quella marina. Noi stiamo bene quaggiù dove ci troviamo». E così fecero i pesci, e sono rimasti pesci. I nostri discendenti che vivranno sulla Luna e su Marte certamente visiteranno la Terra ogni tanto, indossando degli esoscheletri per far fronte alla sua schiacciante gravità, e maschere antigas per filtrare gli innumerevoli cattivi odori che il nostro Pianeta ha imparato a generare nel corso della sua storia di milioni di anni. Ma non credo che desidereranno vivere qui permanentemente.
Cosa troverebbe più eccitante, scoprire una civiltà aliena nell'universo oppure l'evidenza che in tutto il cosmo non ci sono altre forme di vita, lasciando così ai soli terrestri il ruolo di «sentinelle dello spazio»?
Concordo con quanto disse l'astrofisico Carl Sagan: «Siamo soli nell'universo o non lo siamo: in entrambi i casi la nostra mente resta confusa». Personalmente non ho dubbi che l'universo brulichi di vita. Una delle mie speranze segrete è trovare un segno, qualsiasi segno, di alieni nel corso della mia vita. Preferirei un segno di vita intelligente, ma metterei la firma anche per trovare un segno di vita batterica. D'altra parte, può anche darsi che una civiltà intelligente abbia deciso di evitare qualsiasi contatto con noi, viste le condizioni disperate in cui abbiamo ridotto il nostro mondo. Chi lo sa, noi terrestri potremmo anche essere stati messi in una «quarantena galattica»!
Pensa davvero che l'umanità alla fine del suo cammino possa trasformarsi in pura energia, come accade nel suo 2001?
Trasformarsi in pura energia è un modo per sottrarsi alla tirannia della materia e io mi figuro tranquillamente degli esseri realmente avanzati che stanno valutando i pro e i contro di una loro trasformazione in energia. Certo, non saranno più in grado di godere di alcuni piaceri del mondo materiale, ma quando tutto diventa uno stato mentale a chi importa più?
Tornando alla nostra condizione di terrestri degli anni appena successivi al 2001, dopo la radio, i satelliti e i telefoni cellulari quale potrà essere il prossimo passo nelle telecomunicazioni?
Credo molto nei sistemi di riconoscimento vocale per i computer e altri dispositivi, anche per il loro valore sociale perché potrebbero essere usati pure dagli analfabeti. Oggi esistono però ancora delle limitazioni: vanno bene se ci si trova da soli, ma pensi al caos di un ufficio in cui tutti parlano alle macchine. Inoltre il software dovrà far fronte all'enorme differenza di accenti con cui una stessa lingua viene parlata. Non posso fare a meno di citare un episodio accaduto qualche anno fa, mentre tentavo di insegnare a un computer a riconoscere la mia voce. La frase «bisogna andare in aiuto del partito» [the party in inglese] diventò «bisogna andare in aiuto dell'apartheid», un esempio lampante del «politicamente scorretto».
Pensa realmente, come ha previsto in "3001: L'odissea finale", che in futuro saremo in grado di immettere o scaricare direttamente le informazioni nel nostro cervello collegandolo a un dispositivo esterno?
Sì, il traguardo ultimo dei dispositivi input'output sarà la possibilità di scavalcare tutti i sensi dell'organismo umano e inviare segnali direttamente nel cervello. Come ciò si possa fare con esattezza lo lascio ai biotecnologi; per parte mia in 3001 ho descritto il braincap [una calotta da collocare sulla testa che fa appunto da interfaccia tra il cervello e un computer, ndr]. L'adozione diffusa del dispositivo potrà essere ritardata dal fatto che per indossarlo bisognerà probabilmente raparsi a zero. Così, la produzione di parrucche potrà diventare un grande business tra pochi decenni.
Quando uscì 2001, comunque, il computer HAL [che alla fine si impadronisce dell'astronave e uccide tutti gli astronauti tranne il protagonista Bowman, il quale riesce a disinnescarlo dopo una battaglia psicotecnologica] divenne il simbolo della macchina che supera l'uomo e domina il mondo. Questo timore, molto diffuso all'epoca, oggi non esiste più. Perché secondo lei?
Dobbiamo ringraziare per questo un po' di persone, come Steve Jobs e Bill Gates. Da quando i computer sono diventati più facili da usare e più accessibili, paure del genere sono svanite. I computer hanno poi introdotto nel nostro linguaggio parole e frasi che sarebbero state assolutamente prive di senso solo pochi decenni fa. I suoi nonni avrebbero mai capito un grido di dolore del tipo: «Il mio laptop si è crashato»? E che avrebbero pensato ascoltando termini come «megabyte», «hard drive» e «Googling»? C'è poi un altro esempio di una frase familiare che ha cambiato completamente il suo significato: cosa avrebbe pensato una donna dei primi anni del '900 se le avessimo detto che suo nipote avrebbe trascorso la maggior parte della giornata, a casa e al lavoro, «fondling a mouse » cioè «maneggiando un topo»?
Ma l'informazione elettronica finirà per uccidere la stampa?
Non lo credo. La scomparsa della stampa venne già predetta con l'arrivo della radio e della televisione, ma ciascuno dei nuovi mezzi di comunicazione ha trovato un suo posto e noi stessi non abbiamo buttato i nostri libri. Questo mezzo vecchio'stile ha infatti ancora spazio in mezzo ai siti Web, i videogiochi, le comunicazioni mobili e altre tentazioni. Senza dubbio, la sfida è cercare di attrarre quanti si sono abituati alla gratificazione istantanea derivante dai mezzi di comunicazione interattivi, ma la lettura di un libro resta insostituibile. L'industria editoriale dovrà cercare nuove direzioni ma non credo proprio che la stampa scomparirà.
Come vede il futuro della Terra? Lei è stato l'unico a considerare uno tsunami come una delle minacce naturali più gravi per il nostro Pianeta. In "2010: Odissea due" lei previde per il 2005 un gigantesco tsunami nel Pacifico. Si sbagliò solo di cinque giorni e qualche migliaio di chilometri rispetto a quello reale. Perché questo tipo di catastrofe è stato sempre così poco considerato da scienziati e scrittori?
I Paesi del Pacifico hanno sempre convissuto con gli tsunami, ma solo quello dell'Oceano Indiano nel 2004 ha catalizzato l'attenzione mondiale su un rischio simile. Poco dopo la tragedia, sottolineai però che uno tsunami può essere scatenato non solo da un terremoto sottomarino, ma anche dall'impatto di un asteroide. Anzi, quando si parla di minacce che giungono dallo spazio la gente sembra confortata dal fatto che i due terzi della Terra siano coperti dalle acque. Invece dovremmo preoccuparci di più: un impatto nell'oceano può moltiplicare i danni rispetto a uno sulla terraferma, generando «la madre di tutti gli tsunami». Duncan Steel, un'autorità in materia, ha eseguito alcuni calcoli terrificanti. Ha considerato un asteroide modesto, di 200 metri di diametro, che impatta sulla Terra alla tipica velocità di 68.400 km orari. Nell'urto, rilascia energia cinetica con un'esplosione di potenza pari a 600 megaton, 10 volte maggiore di quella del più potente test atomico sotterraneo mai realizzato. Anche se solo il 10 per cento di questa energia venisse trasferita a uno tsunami, le onde riuscirebbero a trasportarla sulle coste a migliaia di chilometri di distanza, causando una distruzione più diffusa di quella dovuta all'impatto dell'asteroide con la terraferma. In quest'ultimo caso, infatti, l'interazione tra l'onda d'urto e le irregolarità del terreno, come colline, alberi, edifici, limiterebbero l'area della devastazione. Nell'oceano, invece, l'onda si propaga così com'è fino a scaricarsi sulla costa. Per questo motivo ho suggerito di tenere d'occhio i cieli anche quando ci preoccupiamo delle minacce dalle profondità dell'oceano.
La rivelazione di ciò che io sono avviene nella coscienza senza tempo, che non accumula e non scarta, che non stimola e non illude. Io creo un certo campo senza nucleo e senza centro, un campo dove la morte diventa solo un'analogia. Non desidero risultati. Semplicemente permetto questo campo, che non ha scopi o desideri, non ha perfezioni e neppure visioni di risultati. In tale campo la coscienza primordiale onnipresente è tutto. È la luce che si riversa dalle finestre del mio universo.
-- I Diari rubati. (L'imperatore-dio di Dune - Cap.37 - pag.273)