Dune Italia
Dune Italia

Racconti brevi

Rymoah
Traduzioni di racconti brevi ambientati nell'Universo di Dune.


A caccia di Harkonnen

DUNE
A caccia di Harkonnen
Una storia della Jihad Butleriana
 
di Brian Herbert e Kevin J. Anderson 
 
>> Scarica il racconto in formato PDF <<
 
Lo yacht spaziale Harkonnen lasciò le industrie di famiglia su Hagal e cominciò la traversata della immensa distanza interstellare verso Salusa Secundus. La nave dalle linee aerodinamiche scivolava silenziosamente, in contrasto con la salva di urla furiose che proveniva dalla cabina di pilotaggio.

Il severo e squadrato Ulf Harkonnen pilotava lo yacht, concentrato sui pericoli dello spazio e la costante minaccia delle macchine pensanti, nonostante continuasse a strapazzare suo figlio, il ventunenne Piers. La moglie di Ulf, Katarina, troppo di buon cuore per essere degna del nome degli Harkonnen, affermò che il litigio era durato fin troppo. "Urlare e criticare più di così non ti servirà a niente, Ulf."

Il capofamiglia Harkonnen si dichiarò fortemente in disaccordo.

Piers si sedette, furioso e per nulla pentito; non era affatto portato per il modo di fare da tagliagole che la sua nobile famiglia si aspettava da lui, non importava quanto suo padre tentasse di costringerlo. Sapeva che Ulf lo avrebbe umiliato e minacciato per tutto il viaggio fino a casa. Quell'uomo brusco si rifiutava di considerare che l'idea di suo figlio di un trattamento più umano avrebbe potuto davvero essere maggiormente produttiva dei vecchi, dispotici metodi.

Stringendo spasmodicamente i controlli della nave con una stretta mortale, Ulf ringhiò a suo figlio, "Le macchine pensanti sono efficienti. Gli esseri umani, specialmente la feccia come i nostri schiavi su Hagal, sono lì per essere usati. Dubito che questo concetto riuscirà a entrarti in testa." Scosse la sua massiccia testa quadrata. "Qualche volta, Piers, penso che dovrei dare una ripulita al patrimonio genetico eliminandoti."

"E allora perché non lo fai?" scattò Piers, ribelle. Suo padre credeva nelle decisioni forti, ogni domanda per lui aveva una risposta netta, e quel suo figlio deprecabile avrebbe potuto guidarlo a fare di meglio.

"Non posso, perché tuo fratello Xavier è troppo giovane per essere l'erede degli Harkonnen, quindi tu sei l'unica scelta che ho... per adesso. Continuo a sperare che capirai la tua responsabilità verso la nostra famiglia. Sei un nobile, destinato a comandare, non a mostrare alle manovalanze quanto puoi essere dolce."

Katarina implorò, "Ulf, puoi non essere d'accordo con i cambiamenti operati da Piers su Hagal, ma almeno ci ha pensato sopra e stava sperimentando un nuovo processo. Con il tempo necessario avrebbe potuto portare un incremento della produttività"
"E nel frattempo la famiglia Harkonnen se ne va in bancarotta?" Ulf puntò un dito spesso verso suo figlio, come fosse stata un'arma. "Piers, quelle persone abusano di te, e sei fortunato che io sia arrivato in tempo per limitare i danni. Quando ti do precise istruzioni sul modo in cui devono essere amministrate le proprietà di famiglia non mi aspetto che tu te ne venga fuori con idee ‘migliori'."

"Possibile che la tua mente sia così fossilizzata da non poter accettare nuove idee?" chiese Piers.

"Il tuo istinto si sbaglia, e hai una visione decisamente primitiva della natura umana." Ulf scosse la testa, brontolando di disappunto. "Ha preso da te, Katarina - questo è il suo più grande problema." Come sua madre Piers aveva un viso affilato, labbra piene e un'espressione delicata... piuttosto differenti dai capelli ispidi e grigi di Ulf, che incorniciavano una faccia rozza e grossolana. "Saresti meglio come poeta che come Harkonnen."

Avrebbe dovuto essere un grave insulto, ma Piers si trovò segretamente d'accordo. Il giovane aveva sempre amato leggere le cronache storiche del Vecchio Impero, giorni di decadenza e apatico lassismo prima che le macchine pensanti conquistassero diversi sistemi solari civilizzati. Piers si sarebbe trovato bene a quei tempi, come scrittore o cantastorie.

"Ti ho dato un'opportunità, figlio, sperando di potermi fidare di te. Ma ho avuto la mia risposta." Il patriarca
Harkonnen si raddrizzò, stringendo i grossi pugni callosi. "Questo intero viaggio è stato uno spreco."

Katarina accarezzò l'ampia schiena del marito, tentando di calmarlo. "Ulf, stiamo incrociando vicino il sistema di Caladan. Hai detto che ci saremmo fermati lì per verificare la possibilità di nuove acquisizioni... magari un'attività di pesca?"

Ulf scrollò le spalle. "Va bene, faremo rotta per Caladan e daremo un'occhiata." Sollevò di scatto la testa. "Ma nel frattempo voglio questa disgrazia di figlio rinchiuso in un modulo di salvataggio. È la cosa più simile a una cella che ci sia a bordo. Deve imparare la sua lezione, prendere seriamente le sue responsabilità, o non sarà mai un vero Harkonnen."


***

Dopo essersi ritirato, pieno di risentimento, nella sua cella improvvisata con le pareti color crema e gli argentei pannelli dei comandi, Piers puntò lo sguardo verso il piccolo l'oblò.
Odiava litigare con quell'ostinato di suo padre. I vecchi, duri metodi degli Harkonnen non erano sempre i migliori. Invece di imporre condizioni durissime e punizioni severe, perché non provare a trattare i lavoratori con rispetto?

Lavoratori. Ricordava come suo padre aveva reagito a quella parola. "La prossima volta vorrai chiamarli impiegati. Sono schiavi!" aveva tuonato Ulf mentre si trovavano nell'ufficio del supervisore su Hagal. "Non hanno diritti."

"Eppure li meritano, dei diritti," aveva risposto Piers. "Sono esseri umani, non macchine."

Ulf aveva contenuto a malapena la sua violenza. "Forse dovrei picchiarti nel modo in cui mio padre picchiava me, inculcandoti contrizione e responsabilità colpo su colpo. Non è un gioco. Tu te ne vai ora, ragazzo. Sali sulla nave."

Piers aveva fatto quello che gli era stato ordinato, come un bambino rimesso bruscamente in riga.

Avrebbe desiderato poter affrontare faccia a faccia suo padre, almeno una volta. Quando ci provava, in ogni modo, Ulf lo faceva sentire come se avesse tradito la famiglia, come fosse stato un lavativo che avrebbe sperperato le loro fortune faticosamente guadagnate.

Suo padre si era fidato di lui per gestire le proprietà di famiglia su Hagal, addestrandolo ad essere la prossima mente dirigenziale degli affari Harkonnen. Quel compito era stato un passo importante per Piers, che si trovava investito di piena autorità sul funzionamento delle miniere di fogli diamantiferi. Una possibilità, un test. L'ordine sottointeso era che avrebbe dovuto amministrare le miniere come era sempre stato fatto.

Gli Harkonnen detenevano i diritti minerari su tutte le vene diamantifere dello scarsamente popolato Hagal. La miniera più grande riempiva un intero canyon. Piers ricordò come la luce del sole giocasse sui costoni vetrosi, danzando sulle superfici prismatiche. Non aveva mai visto nulla di più bello.
I lati della scarpata erano strati di diamante con inserzioni di quarzo blu-verde a delimitarne i perimetri, come una cornice irregolare. Macchine da estrazione guidate dagli uomini si arrampicavano lungo i pendii come grassi insetti color argento: non avevano alcuna intelligenza artificiale a bordo e quindi erano ritenute sicure. La storia aveva dimostrato che anche il tipo più innocuo di IA poteva, alla fine, ribellarsi agli umani. Interi sistemi stellari erano in quel momento sotto il controllo delle diaboliche, intelligenti macchine e, in quegli oscuri settori dell'universo, schiavi umani obbedivano agli ordini dei loro padroni meccanici.

Raggiunti i punti ottimali delle scarpate scintillanti le macchine minatrici si sarebbero agganciate sulla superficie con delle pompe a suzione e avrebbero separato il materiale diamantifero con onde sonore al punto di fissione naturale. Stringendo nella loro morsa i fogli di diamante le semplici macchine sarebbero tornate sui loro passi giù per la collina, fino alle aree di carico.

Era un procedimento efficiente, anche se qualche volta il taglio sonico frantumava i fogli diamantiferi. Ma, dopo che Piers ebbe pagato agli schiavi una partecipazione sui guadagni, certi errori cominciarono ad accadere meno frequentemente, come se ci mettessero più attenzione dopo aver ricevuto un profitto proprio.

Supervisionando i lavori su Hagal Piers ebbe l'idea di lasciare che i gruppi di schiavi lavorassero senza il tipico monitoraggio Harkonnen fatto di stretto controllo. Nonostante alcuni schiavi avessero accettato il programma incentivo venne in superficie un certo numero di problemi. Con una ridotta supervisione alcuni schiavi fuggirono, altri si dimostrarono disorganizzati o pigri, rimanendo semplicemente in attesa che qualcuno dicesse loro cosa fare. Inizialmente la produttività era crollata, ma era sicuro che il risultato avrebbe eguagliato, e anche superato, i precedenti livelli.

Prima che questo potesse accadere suo padre era venuto in visita su Hagal, senza preavviso. E Ulf
Harkonnen non era affatto interessato a idee creative o miglioramenti umanitari, se i profitti calavano...

I suoi genitori erano stati costretti a lasciare il loro figlio più giovane, Xavier, su Salusa, con una coppia all'antica. "Tremo al pensiero di cosa potrebbe diventare il ragazzo se fossero loro ad educarlo. Emil e Lucille Tantor non sanno come essere severi."

Avendoli spiati Piers sapeva perché il suo intrigante genitore aveva lasciato suo fratello minore con i Tantor. Visto che la vecchia coppia non aveva figli Ulf stava tentando di entrare nelle loro grazie in questo modo assolutamente vile. Sperava che i Tantor potessero un giorno lasciare la loro proprietà al "nipotino" Xavier.

Piers odiava il modo in cui suo padre usava la gente, sia che fossero schiavi, altri nobili o membri della sua stessa famiglia. Era disgustoso. Ma ora, intrappolato nella ristretta cabina del modulo, non poteva farci assolutamente nulla.

 

***
 
La corretta programmazione aveva reso le macchine senzienti implacabili e determinate, ma solo la crudeltà di una mente umana poteva generare tanto odio abbastanza feroce da alimentare una guerra di sterminio lunga un millennio.

 

Nonostante, pur riluttanti, fossero tenuti sotto controllo dalla onnipresente mente computerizzata di Omnius, i cymeks - macchine ibride con menti umane - spesso trascorrevano il loro tempo andando a caccia fra le stelle. Lo scopo era catturare degli umani selvaggi per portarli in schiavitù sui Mondi Sincronizzati, o soltanto ucciderli per divertimento...

Il comandante dei cymeks, un generale che aveva scelto per sé l'imponente nome di Agamennone, un tempo era stato a capo del gruppo dei tiranni che avevano conquistato il decadente Vecchio Impero. In quanto guerrieri fedeli alla causa i tiranni riprogrammarono i robot servitori e i computer in modo da conferire loro sete di dominio e il gusto per la conquista. Quando il suo corpo umano, mortale, divenne vecchio e debole, Agamennone si sottopose a una operazione chirurgica per rimuovere il suo cervello ed impiantarlo in un cilindro di conservazione e contenimento che poteva installare su diversi corpi meccanici.

Agammenone e i suoi compagni tiranni intendevano governare per secoli... ma i computer resi artificialmente aggressivi presero il potere non appena ne videro la possibilità, sfruttandone la mancanza di diligenza. Il network di Omnius governò da quel momento in poi i resti del Vecchio Impero, soggiogando i despoti cymek insieme al resto dell'umanità.

Per secoli Agamennone e i suoi erano stati costretti a servire la mente eterna senza alcuna possibilità di riacquistare il comando. Il loro principale passatempo consisteva nel dare la caccia agli umani senza padrone che erano riusciti a difendere la loro indipendenza contro la dominazione delle macchine. Eppure il generale cymek trovava che la cosa servisse soltanto ad alimentare le sue frustrazioni.
Il cilindro in cui si trovava il suo cervello era stato installato in un veloce vascello da ricognizione che pattugliava le aree riconosciute come insediamenti umani della Lega. Sei cymek accompagnavano il generale nel suo viaggio ai bordi di un piccolo sistema solare. Avevano trovato poco di interessante, un solo mondo adatto alla vita umana coperto per la maggior parte d'acqua.

Poi, i sensori a largo raggio di Agamennone rilevarono un altro vascello. Un vascello umano.

Aumentò la risoluzione e fece notare il bersaglio ai suoi compagni. Operando una triangolazione con l'uso combinato delle loro capacità di individuazione, Agamennone si rese conto che la nave era un piccolo yacht spaziale il cui stile, e la forma sofisticata, implicavano che i passeggeri fossero membri importanti della Lega, ricchi mercanti... forse persino nobili vanagloriosi, le vittime più gratificanti fra tutte.

"Esattamente quello che stavamo aspettando," disse Agamennone.

Le navi cymek aggiustarono la rotta e accelerarono. Il cervello di Agamennone, connesso con dei cavi- pensiero, pilotava il corpo-nave come fosse stato un grande rapace, facendolo convergere sull'obiettivo inerme. A bordo c'era anche un mezzo terrestre, un corpo da guerra che poteva usare per i combattimenti sulla superficie di un pianeta.

La prima salva dei cymek colse il vascello della Lega completamente di sorpresa. Il pilota umano ebbe appena il tempo di intraprendere una manovra evasiva. Alcuni proiettili cinetici sfregiarono lo scafo, lesionando uno dei motori, ma la corazza difensiva della nave la protesse da danni gravi. Le navi cymek scivolarono oltre, virando per tornare nuovamente all'attacco con proiettili esplosivi, e lo yacht umano ondeggiò, ancora intero ma disorientato.

"Attenti, ragazzi," disse Agamennone. "Non vogliamo distruggere il trofeo."

Appena fuori dai confini dello spazio della Lega, lontani dai Mondi Sincronizzati, quegli umani selvaggi chiaramente non si erano aspettati di incontrare dei nemici a caccia, e il capitano del vascello era stato particolarmente disattento. Sconfiggerlo sarebbe stato quasi imbarazzante. I suoi cymek avrebbero senz'altro preferito una sfida migliore, un inseguimento più divertente...

Il pilota umano fece tornare on-line il motore danneggiato e prese velocità nella sua corsa verso il sistema isolato, fuggendo verso il mondo coperto d'acqua. Lanciò nella sua scia una nube di brillanti cartucce esplosive che causarono pochi danni fisici ma inondarono i sensori delle navi cymek con impulsi di statica incoerente. I seguaci cymek di Agamennone trasmisero una serie di fantasiose maledizioni. Sorprendentemente la vittima umana rispose con una voce burbera e ribelle, piena allo stesso modo di veleno e vigore.

Agamennone ridacchiò fra sé e sé e lanciò un comando mentale. Questo sarebbe stato divertente. La sua nave scattò in avanti come un fiero cavallo selvaggio, parte del suo corpo immaginario. "Inseguitelo!" I cymek, stando al gioco, si mossero sfrecciando dietro lo sfortunato vascello umano.

Il pilota ingaggiò una serie di manovre standard per seminare gli inseguitori. Agamennone si tenne indietro, tentando di determinare se l'umano fosse davvero così inesperto o stesse semplicemente tentando di creare nei cymek un illusorio senso di sicurezza.

Si stavano precipitando verso il pacifico e azzurro mondo di Caladan, stando al database di bordo. Quel pianeta gli ricordò le iridi blu che caratterizzavano gli occhi da essere umano che aveva un tempo.... Erano passati così tanti secoli che il generale riusciva a riportare alla mente solo pochi dettagli del suo aspetto fisico originale.

Agamennone avrebbe potuto trasmettere un ultimatum al pilota, ma gli umani e i cymek conoscevano i rischi della loro lunga guerra. Lo yacht spaziale aprì il fuoco, poche, patetiche e deboli salve adatte ad allontanare dal percorso dei meteoroidi pericolosi più che a difendere in aperta battaglia o in un'azione militare. Se fosse stata una nave di nobili avrebbe avuto delle armi offensive e difensive molto più efficaci. Non percependo alcuna minaccia i cymek risero e si avvicinarono.

Non appena ridussero le distanze, però, il pilota umano lanciò un'altra nube di esplosivi, apparentemente le stesse bombe fastidiose che aveva utilizzato poco prima, ma Agamennone rilevò alcune piccole fluttuazioni. "Prudenza, sospetto che-"

Quattro mine di prossimità, ognuna con una testata dieci volte più potente delle prime salve, esplosero diffondendo immense onde d'urto. Due dei cymek subirono danni esterni; uno andò completamente distrutto.
Agamennone perse la pazienza. "Indietro! Ingaggiate le difese della nave!"

Ma il pilota dello yacht non lanciò altri esplosivi. Uno dei cymek sopravvissuti si muoveva solo molto lentamente, l'umano avrebbe potuto sopraffarlo con facilità. Visto che non lo aveva fatto, la preda non aveva altre armi a disposizione. O si trattava di un altro trucco?

"Non sottostimare le bestie."

Agamennone aveva sperato di prendere prigionieri gli umani, consegnandoli a Omnius per analisi ed esperimenti, dato che gli esemplari "selvaggi" erano considerati differenti da quelli allevati in cattività per generazioni. Ma, infuriato per la perdita inutile di uno dei suoi sovraeccitati compagni, il generale decise che comportava fin troppi problemi.

"Vaporizzate quella nave," trasmise ai suoi cinque accompagnatori rimasti. Senza aspettare che gli altri cymek si unissero a lui, Agamennone aprì il fuoco.


***
 
Dentro la capsula di salvataggio Piers poteva solo guardare con orrore e attendere di morire.
I cymek nemici li colpirono ancora. Nella cabina di pilotaggio suo padre urlava maledizioni, mentre sua madre faceva del suo meglio alla postazione delle armi. I loro occhi non tradivano la paura, tutto quello che mostravano era una forte determinazione. Gli Harkonnen non morivano facilmente.

Ulf aveva insistito per installare la miglior corazza e il miglior sistema difensivo disponibili, sempre sospettoso, sempre pronto a combattere contro ogni minaccia. Ma quel solo yacht non poteva affrontare un attacco concertato di sette aggressivi scorridori cymek pesantemente armati.

Chiuso dentro l'oscuro compartimento, Piers non poteva fare niente per aiutare. Guardava dall'oblò le macchine che attaccavano, certo che la sua famiglia non avrebbe potuto resistere a lungo. Anche suo padre, che rifiutava di inchinarsi alla sconfitta, aveva l'aspetto di chi non ha più altre risorse da sfruttare.

Pregustando l'imminente massacro i cymek balzarono più vicini. Piers sentì diversi, pesanti colpi riverberare per tutto il vascello. Attraverso l'oblò del boccaporto vide sua madre e suo padre gesticolare disperatamente l'uno all'altro.

Una ennesima salva dei cymek squarciò le piastre protettive e danneggiò i motori dello yacht mentre questo andava alla deriva verso il non abbastanza vicino pianeta con vasti oceani azzurri e bianchi intrecci di nuvole. Delle scintille scivolarono sul ponte e la nave ferita cominciò a cadere ruotando.

Ulf Harkonnen urlò qualcosa a sua moglie, quindi barcollò verso la capsula di salvataggio, tentando di mantenere l'equilibrio. Katarina lo chiamò. Piers non riusciva a capire di che cosa stessero discutendo; la nave era condannata.

Le armi dei cymek scossero il vascello con un impatto tremendo, mandando Ulf a scivolare attraverso il ponte. Nemmeno la robusta corazza dello scafo poteva sopportare molto di più. Il patriarca Harkonnen si rialzò faticosamente in piedi vicino al boccaporto del modulo e Piers, improvvisamente, realizzò che suo padre voleva aprire la capsula e portare entrambi dentro con loro figlio.

Lesse le labbra di sua madre mentre urlava, "Non c'è tempo!"

Il pannello degli strumenti del modulo lampeggiò e cominciò ad effettuare i test interni. Piers batté i pugni contro il boccaporto, ma lo avevano chiuso dentro. Non poteva uscire ad aiutarli.

Mentre Ulf tentava spasmodicamente di manovrare i controlli del boccaporto, Katarina corse al pannello sul muro e colpì l'interruttore di attivazione. Il patriarca si girò verso sua moglie con stupore e sgomento. Katarina mosse le labbra in un disperato addio a suo figlio.

Con un sussulto il modulo affondò nello spazio, via dallo yacht.

L'accelerazione buttò Piers sul ponte, ma lui si mosse carponi fino all'oblò di osservazione. Dietro di lui, mentre il modulo andava alla deriva nel cosmo, gli scorridori cymek aprirono il fuoco ancora e ancora, sei furiose macchine pensanti che univano la loro potenza distruttiva.

La nave Harkonnen esplose una sequenza di violente conflagrazioni fino a trasformarsi in un abbagliante globo di fuoco, che si dissipò nel vuoto cosparso di detriti... soffiata via con le vite dei suoi genitori.
Il modulo entrò nell'atmosfera di Caladan come una palla di cannone, spruzzando le rosse scintille del rientro mentre sfrecciava verso gli oceani blu sul lato illuminato del pianeta.

Piers lottò con i grezzi controlli d'emergenza nello sforzo di manovrare, ma la piccola nave non rispose, come fosse stata una macchina ribellatasi al suo padrone umano. A quella velocità non poteva assolutamente sopravvivere.

Il giovane rampollo degli Harkonnen prese un respiro agonizzante e spinse leggermente due piastre a pressione per alterare la traiettoria della sua spinta. Aveva una modesta esperienza di pilotaggio, nonostante suo padre avesse insistito perché lui imparasse; prima questa competenza non era mai stata una priorità per lui, ma ora doveva comprendere i comandi, e comprenderli subito.

Guardando indietro vide che era inseguito da una delle navi da guerra cymek. Il getto di scintille di rientro crebbe, come gli sprazzi dell'acciaio su una pietra per affilare. I proiettili esplosivi dell'inseguitore scuotevano l'atmosfera intorno a lui senza mettere a segno colpi diretti.

Piers rallentò su una isolata terra emersa verso una catena di montagne innevate, con il crudele cymek alle spalle che stava ancora sparando. Ghiacciai brillanti coronavano i picchi appuntiti. Uno dei proiettili cinetici del nemico colpì un alto pinnacolo, scagliando intorno ghiaccio e roccia. Piers chiuse gli occhi e coraggiosamente - senza altra scelta - volò attraverso i detriti, sentendoli colpire lo scafo. E sopravvisse a malapena.

Subito dopo aver superato per un soffio il pinnacolo, sentì una tremenda esplosione e vide il cielo dietro di lui accendersi in un lampo arancione brillante. L'inseguitore meccanico era andato fuori controllo. Distrutto, proprio come i suoi genitori e la loro astronave...

Ma Piers sapeva che c'erano altri nemici, e probabilmente non molto lontano.


***
 
Agammenone e i suoi cymek si raggrupparono attorno ai frammenti dello yacht che fluttuavano in un'orbita irregolare, mappando la traiettoria del solo modulo di salvataggio che era stato lanciato. Rilevarono dove era entrato nell'atmosfera, a quale velocità era sceso e dove probabilmente sarebbe atterrato. Il generale non aveva fretta - dopo tutto dove avrebbe potuto andarsene il sopravvissuto, da solo, su quel mondo primitivo?

 

Nonostante non ne avesse ricevuto l'ordine il cymek che era stato danneggiato dalle mine di prossimità sparò in direzione modulo, assetato di vendetta. "Generale Agamennone, intendo ammazzare quell'umano da solo." Furioso, il capo dei cymek fece una pausa, poi si dichiarò d'accordo. "Vai, il primo colpo è per te. Ma noi altri non aspetteremo a lungo." Il capo dei cymek li trattenne il tempo necessario per terminare le analisi.

Agamennone riprodusse il segnale di soccorso che il pilota aveva trasmesso poco prima di essere distrutto. Le parole erano criptate, ma non con un codice particolarmente complicato; i sistemi IA di bordo lo interpretarono facilmente. "Qui è Lord Ulf Harkonnen, sulla rotta di ritorno dai nostri possedimenti su Hagal. Siamo attaccati dalle macchine pensanti. Non credo che sopravvivremo."

Una così stupefacente capacità predittiva. Agamennone concluse che il sopravvissuto a bordo del modulo doveva essere un membro della famiglia nobile, se non addirittura il capo stesso.

Mille anni prima, quando Agamennone e i suoi cospiratori diciannovenni avevano rovesciato il Vecchio Impero, un gruppo di pianeti marginali si erano riuniti a formare la Lega dei Nobili. Si erano difesi dai tiranni, contenendo Omnius e le sue macchine pensanti. I computer non serbavano rancori né cercavano vendetta... ma i cymek avevano menti umane ed emozioni umane.

Se il sopravvissuto nel modulo lì su Caladan era un membro della ribelle Lega dei Nobili il generale cymek voleva partecipare personalmente al suo interrogatorio, alla tortura e all'esecuzione.

Dopo pochi minuti, ad ogni modo, ricevette una trasmissione dell'ultimo secondo, giusto prima che l'inseguitore cymek si schiantasse sulla superficie.

"Una missione stupida. La prossima volta pretendo che sia portata a termine efficacemente," disse Agamennone. "Andate, trovatelo prima che possa nascondersi su quel pianeta selvaggio. Affido questa caccia a voi quattro - e una sfida, anche. Una ricompensa per il cymek che scova la preda per primo."
Le altre navi saettarono via dal campo di detriti, scagliandosi come proiettili roventi nel cielo nuvoloso. Il fuggitivo, disarmato nel suo modulo a malapena manovrabile, non sarebbe durato di certo molto a lungo.


***
 
Improvvisamente il modulo sussultò, e una sirena d'allarme cominciò a lamentarsi. I cristallini strumenti digitali luccicarono sul pannello. Piers tentò di interpretarli, regolando i goffi comandi del vascello alla deriva, quindi volse lo sguardo verso l'oblò e vide un pendio bianco e marrone davanti a sé, i tetri fianchi congelati delle colline coperti di pozze nevose e distese di foreste scure. All'ultimo momento tirò su la nave, giusto quel tanto-

 

Il modulo raschiò le cime degli alti, cupi alberi e andò a schiantarsi su un altopiano coperto dalla tundra e un sottile strato di neve. L'impatto fece rimbalzare il modulo in aria, facendolo roteare verso un secondo tuffo nella foresta irregolare.

Nella sua imbracatura energetica Piers rotolava e urlava, lottando per la vita ma aspettandosi il peggio. La schiuma antiurto schizzò tutto intorno anticipando di poco il primo impatto, proteggendo il suo corpo dalle ferite più gravi. Poi il modulo impattò di nuovo, sollevando neve e detriti congelati. Finalmente si arrestò, scricchiolando e sibilando.

La schiuma si dissolse e Piers si tirò su spazzandosi via dalle braccia, dai vestiti e dai capelli quella poltiglia spumosa. Era troppo scosso per avvertire il dolore e non poteva perdere tempo a valutare la gravita delle sue ferite.

Sapeva che i suoi genitori erano morti, la loro nave distrutta. Sperò che la sua visione sfocata derivasse dal sangue negli occhi, e non da delle lacrime. Era un Harkonnen, dopo tutto. Suo padre lo avrebbe schiaffeggiato se avesse mostrato in modo così vile le sue emozioni. Ulf era riuscito a danneggiare il nemico in un attacco infruttuoso, ma c'erano ancora dei cymek lassù. Nessun dubbio che sarebbero venuti a dargli la caccia.

Piers ricacciò indietro il panico, trasformandolo in una dura, immediata valutazione della sua situazione. Se aveva una qualsiasi possibilità di sopravvivenza, le circostanze gli chiedevano di agire con decisione, anche impietosamente - alla maniera degli Harkonnen. E non aveva molto tempo.

Il modulo conteneva alcuni generi di sopravvivenza, ma non poteva rimanere lì. I cymek stavano sicuramente convergendo sul vascello per finire il lavoro. Una volta che fosse fuggito non avrebbe potuto tornare indietro.

Piers afferrò il medikit e tutte le razioni d'emergenza che poteva portare, buttandole in una sacca flessibile. Fece scattare il boccaporto del modulo e si arrampicò fuori, avvertendo l'odore del fumo e il crepitio di alcuni piccoli incendi generati dal calore dell'impatto. Prese un lungo respiro di aria fredda, pungente, e, chiudendo il boccaporto dietro di lui, barcollò via dal modulo fumante, procedendo sulla neve fangosa fino al misero riparo offerto dalle conifere. Voleva allontanarsi il più possibile prima di fermarsi a considerare il suo prossimo passo.

In una situazione simile suo padre si sarebbe preoccupato delle tenute di famiglia, le miniere di Hagal. Con Piers e i suoi genitori ormai spariti chi avrebbe curato gli affari e mantenuto la solidità degli Harkonnen? Al momento attuale, però, il giovane era più preoccupato per la sua vita. E comunque non si era mai trovato a suo agio con la filosofia di famiglia sugli affari.

Sentendo un rombo acuto, guardò verso l'alto e vide quattro scie bianche e fiammeggianti dirigersi verso di lui come proiettili ben mirati. Veicoli cymek da sbarco. Cacciatori. Le macchine con menti umane lo avrebbero braccato nella selvaggia desolazione di quel pianeta.

Vedendo il pericolo farsi all'improvviso così vicino Piers si accorse che stava lasciando nella neve tracce evidenti. Da un brutto taglio sul suo polso sinistro colava del sangue; altro liquido scarlatto gli usciva da una ferita sulla fronte. Tanto sarebbe valso lasciare ai nemici una cartina con le indicazioni per seguirlo.

Suo padre glielo aveva detto con voce aspra e insofferente, ma la lezione era comunque valida: Bada ad ogni aspetto di una situazione. Solo perché qualcosa rimane immobile non vuol dire che non sia pericoloso. Non fidarti della tua sicurezza in nessun momento.

Sotto gli alberi, ascoltando il ruggito dei cymek che si avvicinavano alle coordinate dello schianto della sua capsula, Piers spalmò del biosigillante sulle sue ferite per fermare l'emorragia. Un momento di fretta può causare molto più danno di un momento di ritardo speso pianificando.
Cambiò bruscamente direzione, scegliendo un'area sgombra dove gli alberi avevano riparato il terreno dalla neve e dai massi. Si incamminò sulla superficie rocciosa seguendo un percorso deliberatamente caotico, sperando di sviare la caccia. Non aveva armi, nessuna conoscenza del territorio... e nessuna intenzione di arrendersi.

Piers si arrampicò in alto sul terreno inclinato, dove la neve cominciava a diventare più alta e gli alberi erano più rari. Quando raggiunse una radura si fermò a riprendere fiato e guardò giù per vedere se i veicoli cymek erano arrivati al modulo. Non era abbastanza lontano, e non aveva ancora un posto dove fuggire.

Guardando con un misto di orrore e rapimento Piers vide le mobili, flessuose forme da combattimento a terra dei cymek emergere dalle navi che si erano posate al suolo: adattabili corpi meccanici che potevano trasportare il cilindro di conservazione attraverso una vasta gamma di condizioni ambientali. I cymek brulicarono sul relitto sigillato come granchi inferociti, usando i loro arti taglienti e le fiamme ossidriche per strappare in due lo scafo.

Si acquattarono intorno alla capsula con le fibre ottiche che brillavano debolmente a causa dei sensori. Analizzarono le sue impronte sulla neve e si mossero lì dove la loro preda si era fermata per usare il medikit. Gli scanner dei cymek potevano rilevare facilmente le sue tracce sul terreno, le tracce termiche del suo calore corporeo, e qualsiasi altro indizio. Infallibilmente, si disposero sul terreno nella direzione verso la quale aveva scelto di fuggire.

Rimproverandosi per il momento di panico che gli aveva fatto lasciare una traccia così ovvia Piers si mise a correre rapidamente in salita, sempre cercando un posto per nascondersi, un'arma da usare. Provò ad ignorare il cuore che gli batteva selvaggiamente nel petto e la difficoltà a respirare nel clima duro e freddo di Caladan. Si imbatté in un'altra macchia di pini scuri, continuando ad arrampicarsi. Il pendio divenne più ripido ma, a causa della densità degli alberi, non era in grado di vedere dove stesse andando esattamente o quanto fosse vicino alla cima della cresta.

Vedeva rami e rocce, ma niente che sarebbe realmente servito come arma contro i mostri meccanici, nessun modo per difendersi da quelle orrende macchine. Ma Piers era, dopo tutto, un Harkonnen, e non si sarebbe arreso. Li avrebbe feriti se avesse potuto. Al limite gli avrebbe offerto un'ottima battuta di caccia.

Lontano dietro di lui Piers sentì il rumore di diversi impatti, di alberi spezzati, e immaginò i cymek che si aprivano la strada con i loro corpi meccanici. A giudicare dal fumo stavano dando fuoco all'intera foresta. Bene - in quel modo avrebbero distrutto gli indizi del suo passaggio.

Continuò a correre mentre il terreno diventava più roccioso intorno a lui, con chiazze di ghiaccio sparse ai bordi di scarpate scoscese. La montagna era coperta di neve bilanciata in modo precario, pronta a cadere giù senza preavviso. Gli alberi, a quella quota, erano curvi e ritorti, e si avvertiva un disgustoso sentore di zolfo nell'aria. Ai suoi piedi vide alcune piccole pozze ribollenti, soffuse di giallo.

Aggrottò le sopracciglia, riflettendo su cosa potesse significare. Una zona termale. Aveva letto, nel corso dei suoi studi, di posti del genere, esoteriche anomalie geologiche su cui suo padre lo aveva costretto a documentarsi prima di mandarlo a dirigere le operazioni di scavo su Hagal. Quella doveva essere una regione a intensa attività vulcanica, con sorgenti calde, geyser, fumarole... un posto pericoloso, ma uno di quei posti pericolosi che offrivano delle opportunità contro avversari di grossa stazza.

Piers si gettò attraverso il forte odore e la foschia che si stava radunando, sperando che questo gli avrebbe dato un vantaggio. I cymek non usavano gli occhi come gli umani e i loro sensori erano delicati, sensibili a differenti porzioni dello spettro. In alcuni casi questo dava alle macchine un incredibile vantaggio. Lì, invece, con i pericolosi pennacchi di calore e il terreno roccioso e sterile, i cymek non potevano usare i loro scanner per rilevare tracce residuali delle sue impronte.

Corse attraverso la nebbiosa, umida terra di nessuno fatta di rocce, macchie di neve e suolo nudo e gelato, tentando di sviare la caccia e cercando un posto dove nascondersi o difendersi. Dopo ore di quella fuga precipitosa Piers crollò su un masso caldo incrostato di licheni arancioni, vicino a uno sfiatatoio naturale di vapore sibilante. Più di ogni altra cosa voleva accoccolarsi sotto una sporgenza rocciosa, vicino a una sorgente calda, e rimanere nascosto abbastanza a lungo da dormire qualche ora.

Ma i cymek non avevano bisogno di sonno. Tutte le loro necessità biologiche erano soddisfatte dall'elettrafluido che manteneva in vita i cervelli dentro i cilindri di conservazione. Avrebbero continuato ad inseguirlo senza alcuna pausa.
Piers ruppe l'involucro delle razioni di cibo e ingoiò due wafer energetici, ma si costrinse a rimettersi in marcia prima di sentire tornargli le forze. Doveva aumentare il suo vantaggio, non perdere terreno.

Usando sia le mani che i piedi Piers affrontò l'arrampicata di rocce più impervie. Le sue dita divennero gialle per la polvere di zolfo. Scelse il terreno più erto sperando che si sarebbe dimostrato difficile per le forme da sbarco dei cymek, anche se lo rallentava.

Il vento crebbe e Piers lo sentì contro il viso, raffiche alternate di freddo e di caldo. Le nebbie si diradarono un poco e, improvvisamente, il paesaggio ricomparve intorno a lui. Guardò indietro verso i resti della foresta di conifere, le rocce sporgenti e le pozze di acqua minerale lontane, in basso.

Poi vide un cymek, uno solo, correre nella sua direzione. Gli altri tre dovevano essersi separati, circondando la preda come se si fosse trattato di una specie di gioco. Il corpo meccanico brillava argenteo nell'improvviso bagno di luce pomeridiana. Cercando.

Piers sapeva di essere esposto e vulnerabile su quel pendio roccioso; si schiacciò contro le rocce, facendovi aderire il corpo, sperando che non lo vedessero. Ma pochi secondi dopo il cymek aveva già individuato la sua preda. Il mezzo meccanico rilasciò un proiettile infuocato, un gocciolante globo di gel in fiamme che mancò Piers e colpì la parete rocciosa rimanendo lì come fuoco appiccicoso.

Si arrampicò sulle rocce, trovando dentro di sé un nuovo fiotto di energia. Il cymek, avvicinandosi con rapidità, cominciò l'approccio alla ripida scarpata senza perdere altro tempo nel lavoro noioso di individuare l'umano.

Piers era intrappolato, con precipizi scoscesi e pozze solforose sia a destra che a sinistra e una distesa di neve ripida, inquinata da macchie gialle, sopra di lui. Una volta arrivato in cima alla cresta avrebbe potuto lanciare delle rocce, far allontanare in qualche modo il cymek al di sotto. Non vedeva altre opzioni.

Artigliando la roccia e combattendo per ogni appiglio Piers si fece strada sul nevaio scivoloso. Le sue scarpe foravano la crosta gelata, facendolo affondare fino alle ginocchia nelle neve fredda. In breve le sue dita divennero rosse e insensibili. L'aria gelida gli stava seccando i polmoni, ma lui si arrampicò più velocemente, più avanti, più lontano. Il suo tirannico genitore avrebbe sghignazzato sentendolo preoccuparsi di un mero disagio fisico in un momento di tale urgenza. Il nevaio sembrava estendersi all'infinito nonostante potesse vederne la cima, una nuda lama di rasoio sulla cresta.

Le macchine dovevano essersi divise, e forse aveva eluso le altre tre grazie agli sbuffi termici e alle rocce crollate. Incapaci di trovare le sue tracce, passando al setaccio il terreno... implacabili, come erano sempre le macchine. Solo uno dei cymek lo aveva trovato, apparentemente per caso.

Anche così un singolo, mostruoso nemico era più che sufficiente a ucciderlo, e sarebbe sicuramente rimasto in contatto radio con gli altri. Dovevano già essere in marcia nella sua direzione. Ma questo sembrava ansioso di uccidere Piers da solo.

Al di sotto il cymek raggiunse la base della distesa di neve, analizzò la situazione per un attimo e quindi affrettò la scalata. Le sue lunghe zampe pugnalavano la neve, facendolo salire più velocemente di quanto qualsiasi umano potesse sperare di correre.

Il cymek si fermò, oscillò all'indietro e lanciò un altro proiettile di gel infiammabile. Piers si accovacciò nella neve e l'esplosivo rovente aprì un cratere a non più di un braccio di distanza da lui. Il violento impatto fece tremare la cresta e scivolare leggermente la neve instabile. Intorno a lui la crosta cominciò a rompersi e strapparsi come pelle che venisse via. Cogliendo al volo l'opportunità diede un calcio a una delle lastre di neve compressa, sperando di farla cadere giù a colpire il nemico, ma la superficie congelata si solidificò di nuovo cigolando e gemendo, per poi cadere piano, silenziosamente. Con un profondo respiro, si arrampicò ancora.

Mentre il cymek accorciava le distanze Piers notò un affioramento roccioso che sbucava dalla neve. Si sarebbe trascinato fin lì e avrebbe organizzato le difese. Forse poteva tirare dei massi alla macchina, anche se non si faceva alcuna illusione sulla loro reale efficacia.

Solo uno sciocco rimane senza scelte, avrebbe detto Ulf Harkonnen.

Piers brontolò al ricordo. "Almeno sono sopravvissuto più a lungo di quanto abbia fatto tu, padre."
Poi, con suo grande stupore, sulla cresta del ghiacciaio vide un gruppo di figure che sembravano... umane! Contò dozzine di persone che si ergevano ferme in cima al pendio innevato. Stavano urlando maledizioni incomprensibili ai cymek.

Le sagome degli stranieri sollevarono dei grandi cilindri - armi di qualche tipo? - e iniziarono a percuoterli. Forti suoni vibranti rimbombarono come tuoni, come esplosioni fra le montagne. Tamburi.

Gli sconosciuti battevano sui dei tamburi. Apparentemente non tenevano un ritmo, ma in breve gli impulsi si legarono in una risonanza, una esplosione echeggiante che fece tremare l'intero nevaio.

Le crepe sulla superficie si allargarono e il ghiacciaio cominciò a muoversi. Il massiccio cymek lottò per avanzare mentre il terreno congelato scivolava via.

Comprendendo cosa stesse per accadere Piers si lanciò verso l'affioramento roccioso, riparandosi in una cavità circondata su tutti i lati da pietre spesse. La raggiunse non appena la neve si liberò dalla presa e precipitò con un ruggito sibilante.

La valanga colpì il cymek come una bianca onda anomala, spazzandolo via, sferzandolo e sbattendolo contro le rocce. Mentre la macchina precipitava in fondo al crepaccio Piers chiuse gli occhi e attese che il brontolio raggiungesse il suo crescendo e quindi scemasse.

Quando finalmente riemerse, meravigliato di essere ancora vivo, l'aria stessa brillava di cristalli di ghiaccio che erano stati sollevati nel cielo. Anche se il nevaio rimaneva indubbiamente instabile, quelle strane persone attraversarono precipitosamente ghiaccio e neve, urlando eccitate come cacciatori che avessero appena catturato una preda notevole.

Ancora incapace di credere a quello che stava vedendo, Piers rimase in piedi sul macigno. E vide il cymek, malconcio e scosso da spasmi, in fondo alla gola, rovesciato sulla schiena. La valanga lo aveva colpito con una forza distruttiva equivalente a quella di un'arma pesante. Il cymek era stato sfondato, ammaccato e ritorto, ma i suoi arti meccanici ancora tentavano di rigirarne il corpo.

Anche se gli umani primitivi indossavano stracci grigiastri fatti con materiali di recupero, usavano strumenti sofisticati, molto più che mazze o lance. Quattro giovani nativi si affrettarono verso gli alberi e il bordo del nevaio spezzato - ricognitori? - e rimasero a guardare, all'erta.

Gli altri calarono come iene sul cymek storpio e mutilato, brandendo arnesi da taglio e allargando squarci. Il cacciatore meccanico stava chiedendo aiuto ai suoi compagni? I nativi sfasciarono alacremente le antenne di trasmissione sul corpo meccanico e quindi, con incredibile efficienza, ne smantellarono le gambe sempre in movimento. Il braccio armato del cymek vibrò nel tentativo di lanciare un altro proiettile fiammeggiante, ma i primitivi Caladaniani scollegarono velocemente i componenti necessari.

Dall'altoparlante del cymek venne una raffica di minacce furiose e di maledizioni, ma gli umani non gli prestarono attenzione né mostrarono paura. Stavano lavorando diligentemente per disconnettere i sistemi idraulici, i cavi in fibra, i componenti neurelettronici, mettendo da parte ogni pezzo come prezioso materiale di recupero. Lasciarono scoperto il cilindro con il cervello del cymek: la mente traditrice, umana, era nuovamente disincarnata, ma questa volta non per volontà propria.

Piers, stordito, guardava il cilindro stranamente indifeso che conteneva la mente del cymek. I nativi non lo distrussero immediatamente, sembravano avere altri piani. Lo stavano alzando in aria come un trofeo.

Pieno di domande, Piers si fece strada sulla superficie di neve scivolosa. Gli indigeni lo guardavano mentre si avvicinava, mostrando una curiosità priva di minaccia. Parlavano una lingua aspra che non era in grado di comprendere.

"Chi siete?" chiese Piers in Galach, sperando che qualcuno lo avrebbe capito.

Uno degli uomini, un tipo anziano e macilento con una corta barba rossiccia e la pelle più chiara dei suoi compagni gesticolò in direzione di Piers, chiaramente felice per la vittoria. Gli arrivò davanti e si batté il petto. "Tiddoc."

"Piers Harkonnen." Rispose, ma poi decise di semplificare, "Piers."

"Bene, Piers. Grazie," disse in un Galach comprensibile, ma con un forte accento. Notando la sorpresa del giovane Tiddoc parlò più lentamente, come se stesse ripescando le parole giuste dal fondo della sua memoria. "La nostra lingua ha le sue radici nel Galach dei Nomadi Zensunni, che sono scappati dalla Lega
tanto tempo fa. Io ho lavorato per anni nelle città dei nobili come servo. Ho imparato qualche parola qua e là."

Il cymek prigioniero, paralizzato e immobile, continuò a ringhiare insulti dal suo altoparlante mentre i Caladaniani usavano due delle sue zampe amputate come pertiche di sostegno, appendendoci il cilindro di contenimento in modo che pendesse tra i pali come una bestia appena catturata. I due indigeni più robusti si issarono le pertiche in spalla e cominciarono a camminare di buon passo verso la cima del pendio. Gli altri radunarono i pezzi che potevano trasportare e si arrampicarono a loro volta.

"Vieni con noi," disse Tiddoc.

Piers non ebbe altra scelta che seguirli.


***
 
Una delle ginocchia di Piers cominciò a pulsare ad ogni passo, mentre seguiva quegli uomini rudi su per il pendio, e la sua schiena si irrigidì fino a bruciare. Non aveva ancora avuto il tempo di accettare la morte dei suoi genitori. Gli mancava sua madre per tutte le sue attenzioni affettuose, per la sua intelligenza. Katarina gli aveva salvato la vita lanciando il modulo prima che i cymek potessero distruggere lo yacht spaziale.

 

In un certo modo a Piers mancava anche suo padre. Nonostante la sua asprezza, Ulf aveva desiderato solo il meglio per suo figlio, duramente consapevole delle sue responsabilità sui possedimenti Harkonnen. Aumentare le fortune di famiglia era la priorità suprema. E adesso sembrava che suo fratello minore, Xavier, fosse tutto quello che rimaneva della dinastia Harkonnen. Piers nutriva poche speranze di poter mai lasciare Caladan... ma almeno era sopravvissuto fino a quel punto.

Intanto zoppicava su per la ripida scarpata, tentando di tenere il passo degli agili nativi. Il cervello del cymek galleggiava nel suo cilindro di conservazione mentre i primitivi lo trasportavano. Dall'altoparlante del cilindro venivano urla sporcate dalla statica, dapprima in Galach, poi in altre lingue. Tiddoc e gli altri lo trovavano divertente.

I nativi prestavano poca attenzione al cervello disincarnato, eccetto che per lanciargli sguardi feroci e snudare i denti. Il vecchio con la barba rossa era il più dimostrativo. In aggiunta alle espressioni truci faceva gesti minacciosi con un arnese da taglio, maneggiandolo vicino ai sensori del cilindro, cosa che serviva soltanto ad agitare ancora di più il cervello prigioniero. Ovviamente avevano incontrato altri cymek prima di allora, e sapevano come trattarli.

Ma Piers era preoccupato per gli altri tre cacciatori meccanici. Non avrebbero abbandonato la caccia e, una volta scoperto il sito della valanga e il cymek smantellato, avrebbero seguito le tracce dei nativi da lì. A meno che il prigioniero non fosse stato in grado di chiedere aiuto prima che la valanga lo travolgesse. Ai cymek non piaceva mostrare debolezza.

Piers si guardò intorno cercando le fortificazione che quella gente doveva aver costruito. Più avanti un'onda di ghiaccio formava un gigantesco soffitto che forniva riparo a un insediamento. I primitivi aveva stabilito il campo in una vasta area scaldata dai sifoni presenti nel suolo. Donne e bambini che si affaccendavano fra le capanne di roccia, cantando in coro, si fermarono a guardare i nuovi arrivati. Tutti indossavano abiti spessi, stivali e cappelli bordati con la pelliccia di qualche sconosciuto animale locale. Piers sentì i versi di alcune bestie e vide delle creature bianche e pelose vicino alle case.

Del vapore, attraverso una spessa coltre di neve e ghiaccio, fumava oltre la protezione della sporgenza, accompagnato da geyser e fumarole. Seguendo la tribù su degli stretti gradini di pietra, Piers si meravigliò della sorprendente combinazione di fuoco e ghiaccio, anche mentre lanciava continue occhiate preoccupate dietro di lui per assicurarsi che non ci fosse traccia di altri cacciatori cymek. Di quando in quando una goccia d'acqua scendeva dal soffitto congelato della cupola, che si scioglieva lentamente, ma quando Piers guardò il ghiaccio blu sopra la sua testa capì che il ghiacciaio - e il villaggio - dovevano esistere da molto tempo...

Quando, come una tenda tirata bruscamente davanti al sole, scese l'oscurità, le donne indigene usarono dei rami ritorti per accendere un grande fuoco su uno spiazzo roccioso al centro del villaggio. Delle vedette uscirono per una ronda, allo scopo di fare la guardia contro le macchine mentre il resto della tribù si riuniva per celebrare. Gli uomini portarono pezzi di carne fresca, frutto di altre cacce, e li infilarono su lunghe aste di metallo per metterli al fuoco.

Portarono in un angolo il cilindro di contenimento del cymek e lo lasciarono lì, nella neve.
Parlando fra loro in quella lingua gutturale gli indigeni si sedettero sulle pelli intorno al fuoco e passarono il cibo di mano in mano, dividendolo con il loro ospite. Piers trovò nella carne un forte sapore di selvaggina che non incontrava molto i suoi gusti ma, non volendo insultare i suoi salvatori, ne finì un grosso trancio. Era affamato, e completò il suo pasto con parte di una delle razioni d'emergenza che aveva preso dal modulo; offrì il resto del cibo agli altri, che accettarono di buon grado.

Un grande senso di urgenza ancora lo attanagliava. Anche in mezzo a così tanta altra gente non si sentiva al sicuro, e provò a convincere il vecchio capo che il pericolo non era svanito. "Ci sono altri cymek, Tiddoc. Penso che mi stiano dando la caccia."

"Ne abbiamo già ucciso uno," rispose l'altro. "E gli altri? Sono ancora lì fuori-"
"Uccideremo anche loro. Se si preoccuperanno di tornare per te. I cymek hanno poca pazienza. Perdono rapidamente interesse. Sei così importante per loro? La mia gente sa di non essere così importante per loro." Posò la mano sul polso di Piers. "Abbiano sentinelle. Abbiamo difese."

Per il resto del pasto Tiddoc e la sua gente rimasero seduti intorno al fuoco raccontando antiche parabole e avventure nella loro lingua madre. Durante questa condivisione gli uomini della tribù fecero passare ciotole di una forte bevanda. Avvolto in una pelliccia per difendersi dal freddo, Piers bevve e subito sentì un senso di calore allo stomaco. A intervalli il vecchio capo traduceva per lui le storie degli oppressi Zensunni che erano sfuggiti sia al dominio delle macchine che alla schiavitù nella Lega dei Nobili.

Un po' brillo, Piers difese la Lega e la loro continua lotta contro le macchine pensanti, nonostante gli dispiacesse per le spiacevoli condizioni degli schiavi buddislamici su Poritrin, Zanbar e altri mondi della Lega. Mentre Tiddoc lottava con le parole per tradurre, Piers raccontò a sua volta delle epiche battaglie contro il malvagio Omnius, i suoi aggressivi robot e i cymek.

E, con voce greve, raccontò di come la sua nave fosse andata distrutta e i suoi genitori assassinati...

Tiddoc indicò con un gesto il cilindro di contenimento con il cervello del cymek. "Vieni. I festeggiamenti sono finiti. Ora portiamo a termine la nostra guerra con le macchine. Tutti lo stanno aspettando." Urlò qualcosa nella sua lingua e due uomini sollevarono il cilindro con suo trespolo improvvisato. Il cymek brontolò dal suo altoparlante, ma aveva finito le maledizioni efficaci.

Alcune donne accesero delle torce dal fuoco centrale e aprirono la strada su per un sentiero scavato nella gocciolante onda di ghiaccio. Gli indigeni si avviarono, pieni di allegria, trasportando l'impotente cervello nemico. Il cymek lanciava minacce in ogni linguaggio che gli venisse in mente, ma i primitivi si limitavano a riderne.

"Che cosa state facendo?" domandò il cymek. Il cervello disincarnato si dimenò nel suo container controllando gli ultimi cavi-pensiero funzionanti. "Fermatevi! Vi schiacceremo tutti!"

Piers li seguì su una cresta e giù per un piccolo avvallamento dove l'aria puzzava di zolfo e le rocce porose diventavano sempre più calde sotto i piedi. Il gruppo si fermò vicino ad un pozzo solforoso che si apriva nella roccia, sempre trasportando il cymek inerme, e lì si fermarono chiacchierando e ridendo. Tenevano il cilindro sospeso su quella minacciosa apertura.

Piers si avvicinò al buco, curioso, ma Tiddoc lo tirò via. Nella luce delle torce l'anziano con la barba rossa aveva sul volto un sorriso inquietante.

Un tuono risuonò in profondità e, preceduto da uno sbuffo di vapore rovente, un geyser eruttò, un getto ustionante che bollì il cervello del cymek. Le maledizioni del nemico si trasformarono in urla, seguite da suoni balbettanti di dolore disarticolato che eruppero dall'altoparlante danneggiato.

Quando il geyser si esaurì il cymek delirante singhiozzò e farfugliò. Pochi momenti dopo il geyser eruttò di nuovo e l'altoparlante liberò una serie di ululati orribili che fecero rabbrividire Piers fin nelle ossa.

Non poteva tollerare di sentirlo urlare ancora, anche se quel mostro aveva tentato di ucciderlo e aveva avuto una parte nell'omicidio dei suoi genitori. Quando il getto bollente cessò prese una pietra e sfasciò l'altoparlante, disconnettendolo.

Ma gli indigeni continuarono a tenere la mente agonizzante sopra camino del geyser e, quando il getto salì per la terza volta, il cymek urlò in silenzio, finché non morì bollito nell'elettrafluido.
Poi i nativi ruppero il cilindro su un masso e divorarono il caldo, ben cotto contenuto.


***
 
La capanna di roccia era calda e quasi confortevole ma Piers dormì male, incapace di levarsi dalla mente quelle immagini orrende. Quando, finalmente, si addormentò, sognò se stesso legato a dei pali mentre i nativi lo tenevano sospeso sul geyser. Sentì l'acqua bollente correre verso di lui e si svegliò con un urlo in gola.

 

Fuori sentì soltanto l'ululato di un animale, poi il silenzio. Poi rumori meccanici.
Incespicò fino all'entrata della capanna e scrutò nella fredda aria solforosa. Ora i pelosi animali da guardia stavano dando l'allarme. Sentì delle urla e del movimento nel villaggio. Le vedette erano state molto attente.

Guardando verso uno spicchio di cielo grigio e nebbioso fra il terreno e il bordo superiore del ghiacciaio Piers vide quattro velivoli simili a insetti avvicinarsi emettendo gli stessi rumori che aveva sentito, con i motori che brillavano nell'oscurità prima dell'alba. Cymek!

Tiddoc e i suoi uscirono dalle loro capanne brandendo torce e armi. Piers corse fuori, ansioso di dare il suo aiuto. Aveva perso di vista gli altri cacciatori cymek nel suo volo, il giorno prima, ma le sofisticate macchine pensanti dovevano aver esaminato il paesaggio con i loro scanner finché non avevano trovato la sua traccia... il che aveva guidato lì quei mostri.

Le navi cymek atterrarono su una spianata rocciosa poco distante e aprirono i portelli, da ognuno dei quali uscì un corpo armato da combattimento a terra. Le macchine guerriere simili a granchi marciarono con allarmante velocità lungo il declivio. Davanti a loro i primitivi si sparpagliarono gridando, agitando torce, provocando il nemico.

Uno dei cymek lanciò una salva di gel infiammabile che esplose e fece collassare parte dell'arcuato soffitto di ghiaccio. Frammenti di ghiaccio precipitarono al suolo, distruggendo le capanne evacuate.

Tiddoc e la sua gente danzavano via dalle linee di fuoco come se si fosse trattato di un gioco, facendo segno a Piers di raggiungerli mentre correvano lungo il sentiero che avevano preso la notte prima per arrivare al geyser. Nella luce del giorno Piers vide che si trattava di un'area larga, leggermente in pendenza, disseminata di pozze ribollenti e sorgenti calde. Geyser e fumarole eruttavano frequentemente, riempiendo l'aria di vapore maleodorante e sbuffi di calore. Urlando e imprecando la folla si divise, seguendo percorsi istintivi sul terreno crostoso. Il presunto panico dei nativi sembrava stranamente organizzato, come fosse un gioco da gatto col topo. Stavano adescando il nemico? Pareva che avessero un piano di caccia.

Piers corse con loro, abbassandosi quando i cymek sparavano sul sibilante terreno termale. I loro corpi meccanici arrancavano come grossi ragni su un terreno insicuro. Per essere delle macchine tanto avanzate avevano una mira terribile. I sensori ottici e termali dei cymek dovevano essere praticamente accecati dal caos delle tracce termiche.

Tiddoc scagliò una lancia che sbatté contro la torretta del cymek più grande. Era un'arma inefficace, studiata per distrarre e provocare il cymek più che per danneggiarlo. Il capo corse avanti, urlando e invitandolo ad avanzare.

Confusa, la macchina più massiccia muggì attraverso l'altoparlante, "Non potete scappare ad Agamennone!" Gli altri tre cymek si agitavano dietro di lui.

Piers tremò. Tutti i liberi esseri umani conoscevano il famoso generale delle armate di Omnius, uno dei brutali tiranni all'origine di tutto.

Una delle macchine nemiche incenerì con un colpo fortunato un ragazzo che danzava troppo vicino alle sue armi, e il suo corpo bruciato percorso dagli spasmi si abbatté sul terreno. I caladaniani, furiosi e pieni di sete di vendetta, strinsero i ranghi e inasprirono la lotta. Lanciarono esplosivi fatti a mano che detonarono con grande forza d'urto lasciando squarci fumanti sui corpi dei cymek. Le macchine con menti umane non rallentarono la loro avanzata.
Con piede leggero i nativi continuavano a urlare in tono di sfida. Due dei cymek più piccoli si fecero avanti scompostamente su un campo di geyser punteggiato di crateri. I primitivi si fermarono e si girarono, in anticipazione.

Il guscio sottile di terreno indurito si crepò, si divise. Le due forme terrestri tentarono di arretrare, scivolando, ma la superficie si aprì dietro di loro, frantumandosi. Entrambi i cymek affondarono, urlando e agitandosi, in un calderone di zolfo liquido.

Piers si unì a Tiddoc e gli altri umani in un fragoroso grido di gioia che si interruppe bruscamente quando una di loro, una donna con i capelli lunghi, fu segata in due da un proiettile.

Improvvisamente un furioso getto di vapore uscì a pressione dal terreno vicino al terzo invasore cymek, arroventando il suo cilindro di contenimento. Con i cavi-pensiero danneggiati il leviatano girò su se stesso e barcollò, in stato confusionale. Cadde sulle zampe articolate mentre l'elettrafluido nel cilindro strinato brillava di blu, mostrando il tentativo di focalizzare la sua energia mentale.

Tiddoc lanciò in terra una piccola granata esplosiva fabbricata a mano. La detonazione non causò altri danni alla macchina, ma la crosta sotto di lui si fratturò. Mentre il nemico meccanico, ferito, arrancava disorientato, la superficie si aprì. Il terzo cymek raggiunse gli altri nel fango bollente.

Agamennone continuò ad avanzare verso gli umani in ritirata, come disprezzando l'incompetenza dei suoi sottoposti. Il cymek si erse immobile davanti al vecchio Tiddoc. L'uomo, con i suoi compagni, scagliò un'altra lancia e ancora degli esplosivi, ma il generale meccanico non si mosse nemmeno. Dietro di loro e ai lati c'era soltanto suolo rovente, impraticabile, mentre l'immenso cymek bloccava l'unica via di fuga.

D'impulso Piers corse davanti al cymek, urlando per distrarlo. Raccolse una lancia abbandonata e la usò per colpire una delle alte zampe dell'invasore. "Agamennone! Hai ucciso i miei genitori!"

Con sua grande sorpresa il generale cymek girò la torretta e i sensori termici agganciarono la figura umana comparsa dal nulla. "Un umano petulante!" disse il mostro, con notevole divertimento. "Sei la feccia che stavamo inseguendo."

"Sono un nobile Harkonnen!" urlò Piers. Agitò la lancia come una clava verso il cilindro di contenimento. Colpì l'armatura di plaz con forza sufficiente a scuotergli le ossa - ma lasciò solo un minimo graffio sul rivestimento di protezione.

Il cymek rise fragorosamente. Una delle zampe artigliate di Agamennone afferrò Piers e gli strappò la lancia. Il giovane sentì il rostro affilato intorno al torso. Si accorse a malapena dell'ululato di Tiddoc-

Poi, improvvisamente, la crosta si ruppe sotto il pesante corpo del cymek. Fango schiumoso schizzò dal terreno e Agamennone cadde nella fossa ribollente di un geyser stringendo ancora la sua vittima umana. L'artiglio allentò la presa, giusto un poco, e Piers si arrampicò sulla sommità del corpo tentando di difendersi dal calore, di aggrapparsi al bordo roccioso del cratere. Il vapore si elevò in un'unica, grande colonna, cancellando qualsiasi segno di Piers e dell'ultima macchina nemica.


***
 
Agamennone, vivo e infuriato, reinstallò se stesso in un modulo di atterraggio integro e partì da quel mondo coperto d'acqua. Si era arrampicato fuori dal pozzo fumante con il suo corpo pesantemente schermato, resistendo al calore del vapore senza cadere nel fango in fiamme.

 

Quella feccia aveva continuato ad incalzarlo, tirandogli ulteriori cariche esplosive, e Agamennone era disgustato di se stesso per essere stato costretto alla ritirata. Con i suoi sistemi idraulici già danneggiati - e quegli stupidi neo.-cymek spazzati via - aveva arrancato zoppicando verso la nave spaziale, lasciandosi la tribù alle spalle. I sistemi di bordo della nave riconfigurarono il suo cilindro per adattarsi ai controlli; scartò la sua forma armata da combattimento, lasciandola lì come un relitto sulla maledetta superficie di Caladan.

Agamennone, unico sopravvissuto della sua squadra di cymek, si lasciò dietro quel pianeta senza importanza. Sarebbe tornato sulla Terra, dalla eterna mente computerizzata di Omnius, e avrebbe fatto rapporto. A quel punto aveva la libertà di creare qualsiasi spiegazione di sua scelta. Omnius non avrebbe mai sospettato che stava mentendo. Cose simili, semplicemente, erano fuori dalla portata di quella macchina quasi onnipotente. Ma il generale cymek aveva un cervello umano...
Avrebbe avuto abbastanza tempo, durante il suo viaggio nello spazio aperto, per pensare ad una giustificazione adatta a liberarlo da ogni colpa. Avrebbe anche incluso una versione degli eventi nel suo memoriale, sempre in crescita, registrato nei database della macchina.

Per fortuna l'onnipotente e onniveggente mente che era Omnius pretendeva soltanto precise informazioni e un accurato elenco degli avvenimenti. Inventare delle scuse era una debolezza puramente umana.


***
 
Su Salusa Secundus, mondo capitale della Lega, un bambino guardò in alto verso la pelle scura del viso di Emil Tantor, un nobile ricco e influente. Si trovavano, immobili, nel giardino frontale della tranquilla tenuta dei Tantor, con gli edifici più alti della città visibili in lontananza. Era sera da poco, con le luci che brillavano nei palazzi patrizi sparpagliati sulle colline.

 

Il segnale di soccorso di Ulf Harkonnen era stato finalmente intercettato e Emil Tantor aveva portato al ragazzo le terribili novità sui suoi genitori e suo fratello. Altre perdite nella infinita lotta contro le macchine pensanti.

Il giovane Xavier Harkonnen chinò la testa ma si rifiutò di piangere. Il nobile gli mise una mano sulla spalla e parlò con voce profonda, calma. "Vorresti me e Lucille come tuoi genitori adottivi? Penso che sarebbe desiderio anche di tuo padre, visto che ti ha affidato alle nostre cure."

Xavier guardò nei suoi occhi scuri, e annuì.

"Diventerai un bel giovanotto," disse Tantor, "di cui tuo fratello e i tuoi genitori sarebbero orgogliosi. Faremo del nostro meglio per crescerti bene, per insegnarti onore e responsabilità. Tu farai brillare il nome degli Harkonnen negli annali della storia."

Xavier guardò oltre suo padre adottivo su, alle stelle che luccicavano debolmente nel crepuscolo. Poteva identificarne alcune, e sapeva quali sistemi erano controllati da Omnius e quali dalla Lega dei Nobili.

"Imparerò anche come combattere le macchine pensanti," disse. Emil Tantor gli strinse la spalla. "Le sconfiggerò, un giorno."

È il mio scopo nella vita.


***
 
In una notte scura, nel bianco nevaio, fra i pini scuri, i caladaniani sedevano sulle pellicce intorno a un fuoco ruggente. Ripetevano le antiche leggende e le storie delle recenti battaglie, mantenendo viva la loro tradizione orale. Il vecchio Tiddoc era vicino allo straniero che avevano accettato fra loro, un eroe con gli occhi luccicanti e la pelle cerea, orribilmente sfregiato. Un uomo che aveva combattuto in duello con il mostro ed era caduto dentro la voragine rovente... e che ne era uscito vivo, abbarbicandosi al corpo del cymek. Piers gesticolava con una mano; l'altra - bruciata, contorta e inutilizzabile - giaceva abbandonata contro il suo petto. Parlava appassionatamente nell'antica lingua buddislamica, fermandosi per cercare le parole adatte e riprendendo quando Tiddoc lo aiutava.

 

Caldan era la sua casa, adesso, e avrebbe vissuto il resto della sua vita con queste persone, nell'oscurità dell'anonimato. Non sembrava possibile fuggire da un posto così remoto se non grazie alle storie che raccontava. Piers incantava il suo pubblico parlando delle grandi battaglie contro le macchine pensanti e, nel frattempo, imparava le Canzoni del Lungo Viaggio, cronache delle Migrazione multigenerazionale dei Zensunni.

Come anche suo padre aveva intuito, Piers Harkonnen aveva sempre voluto essere un cantastorie.

***

 

- Titolo originale: Hunting Harkonnens
- Traduzione: Il Gobb




Mek Espiatorio

DUNE
Mek Espiatorio
Una storia della Jihad Butleriana
 
di Brian Herbert e Kevin J. Anderson 
 
>> Scarica il racconto in formato PDF <<
 
Quando giunse la nave corazzata della Jihad la popolazione di Giedi Primo credette di dover ricevere notizie di una grande vittoria contro le crudeli macchine pensanti. Ma con una semplice occhiata al vascello, sfregiato dai segni della battaglia, il giovane Vergyl Tantor capì che la difesa della Colonia di Peridot non era affatto andata come previsto.

Vergyl si fece strada attraverso gli affollati confini dello spazioporto di Giedi Primo, spintonando i soldati che, al suo pari, erano stati inviati lì come truppe di terra: reclute con le divise verdi e gli occhi sgranati oppure veterani troppo in là con gli anni per essere spediti in battaglia contro i robot da combattimento di Omnius. Il cuore gli batteva nel petto al ritmo di un pistone.

Pregò che suo fratello adottivo, Xavier Harkonnen, fosse tornato sano e salvo.

La malconcia nave da guerra atterrò pesantemente nel perimetro di attracco, come una bestia marina morente su una scogliera. I grandi motori, raffreddandosi dopo la rovente discesa attraverso l'atmosfera, sibilavano e si lamentavano.

Vergyl esaminò le cicatrici annerite sulle piastre dello scafo e provò ad immaginare le armi cinetiche e i proiettili ad alta energia che i robot da combattimento avevano usato contro i coraggiosi difensori jihadi.

Vergyl avrebbe fatto la sua parte, se solo fosse stato lì fuori anche lui. Ma Xavier - il comandante delle truppe impegnate nel conflitto - sembrava intenzionato a combattere contro l'impazienza di suo fratello con tanta caparbietà e costanza quante ne metteva nel combattere il nemico meccanico.

Quando i sistemi di atterraggio ebbero finito di assicurarsi a terra si aprirono dozzine di portelli sulla parte bassa dello scafo. Ne emersero dei comandanti della Jihad di basso grado urlando richieste di assistenza. Tutto il personale medico qualificato era stato chiamato lì dalla città; altri ancora erano stati portati con le navette dai diversi continenti di Giedi Primo per soccorrere i soldati feriti e i coloni portati in salvo.

Furono montate stazioni di accertamento e pronto soccorso diagnostico sul terreno dello spazioporto. Il personale militare ufficiale fu esaminato per primo, dato che aveva messo a repentaglio la propria vita per combattere l'immensa lotta iniziata da Serena Butler. Le loro uniformi cremisi e verdi erano macchiate e rammendate malamente; era chiaro che non avevano avuto la possibilità di ripararle durante le molte settimane di viaggio dalla Colonia di Peridot. I mercenari ricevettero un trattamento a priorità più bassa, insieme ai rifugiati della colonia.

Vergyl si affrettò per dare una mano insieme agli altri uomini delle truppe a terra, con gli occhi neri che danzavano avanti e indietro in cerca di risposte. Doveva trovare qualcuno che gli potesse dire cosa era successo al Segundo Harkonnen. La preoccupazione gli ronzava in testa mentre lavorava. Forse andava tutto bene... ma se invece suo fratello maggiore era stato ucciso in una sortita eroica? O se era ferito, ancora a bordo della nave ammaccata, rifiutando aiuto per sé finché tutto il personale non fosse stato soccorso? Entrambi questi scenari sarebbero stati consoni al carattere di Xavier.

Per ore Vergyl rifiutò di rallentare, incapace di afferrare pienamente attraverso cosa erano passati questi combattenti della Jihad. Grondante ed esausto, lavorò fino a cadere in uno stupore simile alla trance, eseguendo gli ordini, aiutando uno dopo l'altro tutti i rifugiati feriti, ustionati, disperati.

 

Le conversazioni mormorate che ascoltò gli dissero che l'assalto furibondo aveva spazzato via la piccola colonia. L'Armata della Jihad aveva mandato dei difensori fin lì quando le macchine pensanti avevano tentato di assorbire l'avamposto nei Mondi Sincronizzati.
Quella della Colonia di Peridot era stata appena una schermaglia, comunque, così come molte altre nella dozzina d'anni da quando Serena Butler aveva spinto l'intera umanità a
combattere per la propria causa, dopo che le macchine pensanti avevano trucidato il suo
bambino, Manion. Il figlio di Xavier.

 

Il flusso e riflusso della Jihad aveva causato ingenti danni a entrambe le parti, ma nessuna delle due forze in campo era riuscita a giocare una mano risolutiva. E le macchine pensanti continuavano a costruire nuovi robot da combattimento, mentre la perdita di vite umane non poteva essere tamponata. Serena teneva discorsi appassionati allo scopo di reclutare nuovi soldati per la sua guerra santa. Erano morti così tanti combattenti che la Jihad non rendeva più di dominio pubblico la cifra. La lotta era tutto.

Seguendo il Massacro di Honru sette anni prima Vergyl aveva insistito per potersi unire lui stesso all'Esercito della Jihad. Lo considerava suo diritto come essere umano, anche senza tenere in conto la sua relazione con Xavier e il bambino martirizzato, Manion. I suoi genitori avevano tentato di convincerlo ad aspettare nella loro tenuta di Salusa Secundus fino ai diciassette anni, ma Vergyl non ne volle sapere.

Tornando da Salusa dopo una difficile schermaglia Xavier aveva sorpreso i suoi genitori proponendo una liberatoria che avrebbe permesso al troppo giovane Vergyl di cominciare l'addestramento nell'esercito. Il ragazzo aveva fatto i salti di gioia di fronte a questa opportunità, ma non immaginava che Xavier avesse i suoi piani. Il Segundo Harkonnen, con fare iperprotettivo, si assicurò personalmente che Vergyl ricevesse un incarico tranquillo e sicuro, di stanza su Giedi Primo dove poteva dare una mano con il lavoro di ricostruzione - e dove sarebbe stato lontano da qualsiasi battaglia contro il nemico robotico.

Ora Vergyl era a Giedi City da anni, crescendo un poco di grado fino a secondo decero nella Brigata Costruzioni... senza mai vedere un po' d'azione. Nel frattempo la nave da guerra di Xavier Harkonnen andava di pianeta in pianeta, proteggendo l'umanità libera e distruggendo le legioni meccaniche della eterna mente computerizzata di Omnius...

Vergyl smise di contare i corpi che trasportava. Sudando nella sua uniforme verde scuro il giovane ufficiale delle Costruzioni stava portando una barella improvvisata insieme a un civile, su cui giaceva una madre ferita che era stata recuperata dal suo prefabbricato in rovina su Peridot. Donne e bambini di Giedi City sciamavano fra il personale di assistenza e i feriti, offrendo cibo e acqua.

Finalmente, nel pomeriggio torrido, un ruvido clamore penetrò la concentrazione maniacale di Vergyl, che posò la barella nel mezzo di una unità di soccorso. Guardò verso l'alto e inalò brevemente. Sulla rampa principale di accesso alla nave da guerra un fiero comandante militare fece alcuni passi verso l'esterno, nella luce di Giedi Primo.

Xavier Harkonnen indossava una linda uniforme da segundo con insegne d'oro immacolato. Grazie alla cura del vestiario ne risultava l'elegante figura di un militare in grado di ispirare sicurezza e fede tanto fra le sue stesse truppe quanto tra i civili di Giedi City. La paura era il peggior nemico che le macchine potevano usare contro di loro. Xavier non forniva mai, ad alcun osservatore, ragioni di incertezza: sì, l'umanità avrebbe vinto questa guerra, alla fine.

Sorridendo, Vergyl lasciò andare il fiato e tutti i suoi dubbi evaporarono. Ovvio che Xavier fosse sopravvissuto. Questo grandioso personaggio aveva guidato le forze che avevano liberato Giedi Primo dalla schiavitù dei cymek e delle macchine pensanti. Xavier aveva comandato le truppe umane nella purificazione atomica della Terra, la prima grande battaglia della Jihad di Serena Butler.

E l'eroico Segundo Xavier Harkonnen non si sarebbe fermato fino alla definitiva sconfitta delle macchine.

Ma, osservando suo fratello percorrere la rampa, notò che i passi del valoroso comandante avevano qualcosa di stanco, pesante, e il suo viso familiare sembrava scioccato. Nemmeno un indizio di sorriso, nessuna luce nei suoi occhi grigi. Solo piatta, spietata insensibilità. Come aveva fatto a invecchiare così? Vergyl lo idolatrava, aveva bisogno di parlargli da solo, come suo fratello, in modo da essere messo al corrente dei reali accadimenti.

 

Ma il Segundo Harkonnen non avrebbe mai mostrato a nessuno i suoi sentimenti più profondi in pubblico. Era un leader troppo bravo. Vergyl si fece strada a spintoni attraverso la folla, urlando e salutando insieme agli altri, e finalmente Xavier lo riconobbe nel mare di volti. La sua espressione si accese di gioia,
come alleggerita dal fardello dei ricordi e dei traguardi della guerra. Vergyl e i suoi compagni delle truppe a terra salirono in fretta sulla rampa per circondare l'ufficiale e scortarlo verso la tranquilla sicurezza di Giedi City.

 

Xavier trascorse ore intere insieme ai suoi sub-comandanti sopravvissuti emanando rapporti e tenendo sedute post-operative con gli ufficiali della Lega, ma si impose di fuggire via da questi doveri dolorosi per spendere qualche ora con suo fratello.

Arrivò alla piccola casa di Vergyl senza essersi riposato, con gli occhi tormentati e iniettati di sangue. Quando i due si abbracciarono Xavier rimase rigido per un momento, prima di lasciarsi andare e restituire la stretta al suo fratello di pelle nera. Nonostante le differenze fisiche che evidenziavano le loro distinte eredità razziali, entrambi sapevano che i legami d'affetto non avevano nulla a che fare con il lignaggio ed erano invece figli della serena vita familiare che avevano condiviso nella tenuta di Emil e Lucille Tantor. Mentre lo faceva entrare Vergyl poté avvertire i tremori che Xavier stava sopprimendo. Lo distrasse presentandolo a sua moglie, che era tale da solo due anni e che Xavier non aveva mai incontrato.

Sheel era una bellezza giovane, dai capelli neri, poco avvezza a ricevere ospiti di una tale importanza. Non era mai nemmeno andata su Salusa Secundus per incontrare i genitori di Vergyl o visitare la proprietà della famiglia Tantor. Ma trattò Xavier come il benvoluto fratello di suo marito, invece che come una celebrità.

Solo una settimana prima era arrivata una delle navi mercantili di Aurelius Venport, con un carico di melange da Arrakis. Sheel era uscita quel pomeriggio e aveva speso la paga di una settimana per comprare abbastanza spezia costosa da aggiungere alla cena speciale che aveva preparato.

Durante il pasto la conversazione rimase mite e leggera, evitando ogni riferimento alle novità della guerra. Esausto fino all'osso, Xavier sembrò a malapena accorgersi del sapore della cena, anche con l'esotico melange. Sheel sembrava delusa, finché Vergyl le spiegò in un sussurro che suo fratello aveva perso quasi del tutto i sensi del gusto e dell'olfatto durante un attacco dei cymek con il gas, la qual cosa gli era costata anche i polmoni. Nonostante adesso Xavier potesse respirare, grazie una serie di organi forniti dai mercanti di carne Tlulaxa come rimpiazzo, le sue capacità di odorare o assaporare erano rimaste offuscate.

Alla fine, mentre stavano bevendo il caffè di spezia, Vergyl non riuscì più a contenere la sua curiosità. "Xavier, per piacere, dimmi cosa è successo alla Colonia di Peridot. È stata una vittoria o le -" la sua voce si incrinò "- le macchine ci hanno sconfitti?"

Xavier alzò la testa, guardando lontano. "Il Gran Patriarca Iblis Ginjo dice che non ci sono sconfitte. Solo vittorie e... vittorie morali. Questa ricade nella seconda categoria."

Sheel strinse con forza il braccio di suo marito, una richiesta silenziosa di lasciar cadere il discorso. Ma Vergyl non disse nulla, e Xavier continuò, "la Colonia di Peridot è stata sotto attacco per settimane prima che il nostro battaglione più vicino potesse ricevere la chiamata di soccorso. I coloni morivano. Le macchine pensanti intendevano devastare la colonia e stabilire lì un nuovo Mondo Sincronizzato, installare le loro infrastrutture e una nuova copia della mente di Omnius."

Xavier sorseggiò il caffè di spezia mentre Vergyl metteva i gomiti sul tavolo, avvicinandosi per ascoltare con rapita concentrazione.

"L'Armata della Jihad aveva un presidio piccolo in quell'area, a parte la mia nave e una manciata di soldati. Non avevamo altra scelta che rispondere all'attacco, per non perdere un altro pianeta. Ad ogni modo avevo anche un intero carico di mercenari."

"Qualcuno di Ginaz? I nostri combattenti migliori?"

"Qualcuno. Siamo arrivati più in fretta di quanto si aspettassero le macchine, le abbiamo colpite duramente e senza pietà, usando tutto quello che avevamo. I miei mercenari hanno attaccato come dei foli, e parecchi sono caduti. Sono andate distrutte molte più macchine pensanti, comunque. Sfortunatamente la maggior parte della colonia era già stata letteralmente calpestata quando siamo arrivati lì, e gli abitanti massacrati. Anche così l'Armata della Jihad si è fatta strada - e abbiamo respinto le forze nemiche per puro miracolo." Tirò un profondo, convulso respiro, come se i suoi polmoni di rimpiazzo stessero funzionando male.

"Invece di fuggire semplicemente, per ridurre le loro perdite come fanno di solito i robot da combattimento, questa volta erano tutti programmati per fare terra bruciata. Hanno devastato qualsiasi cosa nella loro scia. Dovunque siano passati non è rimasto intatto nemmeno un raccolto, una struttura, e non hanno lasciato alcun sopravvissuto."

Sheel deglutì a vuoto. "È orribile."

"Orribile?" meditò Xavier, facendo rotolare il suono di quella parola sulla lingua. "Non posso neppure cominciare a descrivere quello che ho visto. Non è rimasto molto della colonia che eravamo andati a salvare. Più di un quarto dei miei guerrieri Jihadi ha perso la vita, e metà dei mercenari."

Continuò, scuotendo tristemente la testa. "Abbiamo raccolto il penoso, piccolo numero di coloni che erano fuggiti abbastanza lontano dal più grande battaglione di macchine. Non so - e nemmeno voglio sapere - il numero effettivo dei sopravvissuti che abbiamo recuperato. La Colonia di Peridot non è caduta di fronte alle macchine, ma quel mondo non è più di alcuna utilità per gli umani." Tirò un sospiro. "Sembra sia il motivo ricorrente di questa Jihad."

"Ecco perché dobbiamo continuare a lottare." Vergyl alzò il mento. La sua audacia suonava vana anche alle sue orecchie. "Lasciami combattere al tuo fianco contro Omnius!

L'Armata della Jihad ha un costante bisogno di soldati. È tempo che anch'io scenda in campo nelle vere battaglie di questa guerra!"

Xavier Harkonnen sembrò riscuotersi. Lo sgomento gli attraversò il viso. "Tu questo non lo vuoi, Vergyl. Mai e poi mai."

 

 

***
 
Vergyl si assicurò un incarico a bordo della nave da guerra della Jihad mentre era sottoposta a riparazioni, per quasi due settimane. Se non poteva lasciare il pianeta e lottare sui campi di battaglia alieni almeno poteva restare lì a ricaricare le armi, rimpiazzare i generatori di scudi Holtzman danneggiati e rinforzare il rivestimento corazzato.

 

Mentre svolgeva diligentemente tutte le incombenze che il capogruppo gli aveva assegnato, i suoi occhi assorbivano nei dettagli il modo in cui funzionavano i sistemi. Un giorno o l'altro, se mai Xavier si fosse addolcito e gli avesse permesso di partecipare nella Santa Jihad, Vergyl voleva comandare uno di quei vascelli. Era un adulto - aveva ventitre anni - ma suo fratello era influente, aveva il potere di interferire in qualsiasi sua iniziativa... e lo aveva già fatto.

Quel pomeriggio, mentre controllava i progressi delle riparazioni sul suo display portatile, Vergyl si imbatté in una delle stanze da allenamento della nave. La massiccia porta di metallo era socchiusa e poteva udire lo sferragliare e il tintinnare all'interno, unito ai grugniti di qualcuno che si stava impegnando con grande sforzo.

Nell'entrare Vergyl si fermò e rimase ad osservare, stupefatto. Un uomo pieno di cicatrici, con i capelli lunghi - un mercenario, a giudicare dal suo aspetto arruffato e selvaggio - si era lanciato in una violenta lotta contro un robot da combattimento. La macchina aveva tre paia di braccia articolate, ognuna delle quali stringeva un'arma dall'aspetto mortale. L'unità meccanica, muovendosi con grazia e così velocemente da sembrare una macchia indistinta, sferrava colpo su colpo contro l'uomo, che si difendeva perfettamente ogni volta.

Il cuore di Vergyl mancò un battito. Come aveva fatto una delle macchine nemiche a salire a bordo della nave di Xavier? Omnius l'aveva mandata come spia o come sabotatore? Ce n'erano altre sparse per la nave? Il mercenario assediato vibrò un colpo con la sua ronzante spada a impulso, mandando una delle sei braccia del mek a ciondolare inerte su un fianco.

 

Esplodendo in un urlo di guerra, sapendo di dover fornire aiuto, Vergyl afferrò l'unica arma che riuscì a trovare - un bastone da allenamento in una rastrelliera sul muro - e caricò senza pensarci.
Quando sentì Vergyl avvicinarsi il mercenario reagì velocemente. Alzò una mano.

 

"Fermo, Chirox!"

Il mek da combattimento si congelò. Il mercenario, ansimando, abbandonò la posizione di guardia. Vergyl si bloccò, spostando lo sguardo confuso dal robot nemico al muscoloso guerriero.

"Non allarmarti," disse il mercenario. "Mi stavo soltanto allenando." "Con una macchina?" L'uomo dai lunghi capelli sorrise. Una ragnatela di cicatrici pallide gli copriva le guance, il collo, le spalle nude e il torso. "I nemici in questa Jihad sono le macchine pensanti, giovane ufficiale. Se dobbiamo sviluppare le nostre abilità contro di loro, quale miglior avversario da combattere?"

Goffamente, a malincuore, Vergyl poggiò la sua staffa sul ponte. Il suo viso arrossì per l'imbarazzo. "Ha senso."

"Chirox è soltanto un surrogato del nemico, un obiettivo da combattere. Nella mia mente lui rappresenta tutte le macchine pensanti."

"Come un capro espiatorio."

"Un mek espiatorio." Il mercenario sorrise. "Possiamo programmarlo per diversi livelli di combattimento, a scopo di allenamento." Si avvicinò al minaccioso robot. "Seduto."

Il robot abbassò le braccia coperte di armi e le ritrasse al suo interno, anche quella danneggiata, e rimase immobile in attesa di altri ordini. Con un ghigno l'uomo sbatté l'elsa della sua spada a impulso contro il torace del mek, facendolo indietreggiare di un passo. Gli occhi, dei sensori di movimento, lampeggiarono arancione. Il resto del volto della macchina, con le crude forme della bocca e del naso, non si mosse.

L'uomo diede un lieve colpo al petto del robot, con familiarità. "Questo robot limitato - non mi piace il termine macchina pensante - è completamente sotto il nostro controllo. Ha servito i mercenari della Jihad per circa tre generazioni, finora." Disattivò la spada a impulso, che era stata creata per disturbare i circuiti gel di una macchina pensante. "Sono Zon Noret, uno dei guerrieri assegnati a questa nave."

Interessato, Vergyl si avvicinò ancora. "Dove hai trovato questa macchina?"

"Un secolo fa un ricognitore di Ginaz trovò una nave delle macchine pensanti danneggiata, e da questa recuperò un robot da combattimento fuori uso. Abbiamo cancellato le sue memorie e reinstallato i programmi di lotta. Ci permette di metterci alla prova contro le capacità delle macchine."

Noret diede una pacca al robot su una delle sue sfregiate spalle metalliche. "Molti robot nei Mondi Sincronizzati sono stati distrutti grazie a ciò che abbiamo imparato da questa unità. Chirox è un maestro inestimabile. Gli studenti dell'arcipelago di Ginaz portano alla maturazione le loro abilità contro di lui. Si è dimostrato un così grande vantaggio, e un depositario di informazioni da usare contro i nostri nemici, che noi mercenari non ci riferiamo più a lui come ad una macchina pensante, ma come ad un alleato."

"Un robot come alleato? A Serena Butler non piacerebbe sentirlo," disse cautamente Vergyl.

Zon Noret raccolse dietro la nuca i suoi spessi capelli, come la coda di una cometa. "Si fanno molte cose in questa Jihad senza che Serena Butler lo sappia. Non sarei sorpreso di scoprire che ci sono altri mek come questo sotto il nostro controllo." Fece un gesto noncurante. "Ma visto che abbiamo tutti lo stesso obiettivo, i dettagli diventano insignificanti."

Alcune delle ferite del mercenario sembravano, a Vergyl, guarite da poco. "Non dovresti riprenderti dalla battaglia piuttosto che combattere ancora?"

"Un vero mercenario non smette mai di combattere." I suoi occhi si assottigliarono. "Vedo che tu stesso sei un ufficiale."

Vergyl si produsse in un sospiro di frustrazione. "Nella Brigata Costruzioni. Non è ciò che avrei voluto. Volevo combattere, ma... è una storia lunga."

 

Noret si asciugò il sudore dalla fronte. "Il tuo nome?" "Secondo Decero Tantor."
Senza dare mostra di aver riconosciuto il nome Noret guardò prima il mek da combattimento e quindi il giovane ufficiale. "Forse possiamo organizzare qualcosa per farti assaggiare il sapore della battaglia."

 

"Mi lasceresti... ?" Vergyl sentì le sue pulsazioni aumentare.

 

Zon Noret annuì. "Se un uomo vuole combattere, deve essergli permesso." Vergyl alzò il mento. "Non potrei essere più d'accordo."
"Ti avviso, questo può anche essere un mek da allenamento, ma è letale. Disconnetto spesso il suo protocollo di sicurezza nel corso dei miei rigorosi esercizi. È il motivo per cui i mercenari di Ginaz sono così bravi."

 

"Ci saranno degli interruttori di emergenza, altrimenti non sarebbe un granché come istruttore."

"Un allenamento che non contempli dei rischi non è realistico. Rende morbido lo studente, consapevole di non essere in pericolo. Chirox non è così, fin dalla concezione. Potrebbe ucciderti."

Vergyl avvertì il fuoco dell'audacia crescere dentro di sé e sperò di non stare comportandosi da stupido. "Posso prendermi cura di me stesso. Ho affrontato da solo l'allenamento alla Jihad." Ma voleva una opportunità di mettersi alla prova, e questo robot da combattimento poteva essere la cosa più vicina allo scontro reale che avrebbe mai provato. Vergyl focalizzò il suo odio su Chirox, pensando a tutti gli orrori che le macchine avevano imposto all'umanità, e desiderò ridurre il mek a un ammasso di rottami metallici. "Lasciami combattere contro di lui, esattamente come stavi facendo tu."

Il mercenario alzò le sopracciglia, divertito e interessato. "L'arma di tua scelta, giovane guerriero?"

Vergyl esitò e guardò la rozza staffa da allenamento che aveva impugnato. "Non ho con me altro che questa."

Noret alzò la sua spada a impulso perché il giovane la esaminasse. "Sai come far funzionare una di queste?"

 

"È simile a quella che abbiamo usato nell'allenamento base, solo un modello più nuovo." "Esatto." Noret attivò l'arma e gliela porse.
Vergyl soppesò la spada per controllarne il bilanciamento. Archi scintillanti di forza disgregante si rincorrevano sulla superficie della lama.

 

Prese un profondo respiro e studiò il mek da combattimento, che ricambiò lo sguardo spassionatamente, con i sensori ottici illuminati di arancione... in attesa. I sensori cambiarono direzione, osservarono Noret avvicinarsi e si prepararono per un nuovo avversario.

 

Solo due delle sei braccia meccaniche emersero dal torso del mek quando il mercenario lo attivò. Una delle mani metalliche stringeva un pugnale, mentre l'altra era vuota.
"Ma così mi combatterà a un basso livello di difficoltà," protestò Vergyl.

 

"Forse Chirox sta solo mettendoti alla prova. Nei combattimenti reali l'avversario non ti fornisce in anticipo un curriculum delle sue abilità."

Vergyl si mosse con cautela verso il mek, quindi si spostò a sinistra con un movimento circolare, impugnando la spada a impulso. Sentì i palmi umidi e allentò leggermente la presa. Il mek girò il viso verso di lui. La mano armata ebbe una piccola contrazione e Vergyl vibrò una stoccata al pugnale con la spada elettronica, generando un impulso color porpora che fece tremare il robot.

"Mi sembra una macchina alquanto stupida." Aveva sempre immaginato così il combattimentoche il combattimento. Vergyl si lanciò contro il suo avversario e ne colpì il torace con la spada a impulso, lasciando uno scoloramento purpureo sul suo corpo metallico. Premette il pulsante blu sull'elsa finché l'arma non raggiunse la frequenza di pulsazione più alta.

 

"Mira alla testa," consigliò Noret. "Confondi i circuiti del robot per rallentarlo. Se colpisci
Chirox nel modo giusto avrà bisogno di un minuto o due per riconfigurarsi."

 

Vergyl colpì ancora, ma mancò la testa scivolando verso la spalla corazzata. Scintille multicolori coprirono la superficie esterna del mek, e il pugnale cadde dalla sua stretta meccanica per finire rumorosamente sul pavimento della camera da allenamento. Uno sbuffo di fumo si alzò dalla mano del robot.

Vergyl si fece avanti per ucciderlo. Non gli interessava se qualcuno aveva bisogno di quella unità da combattimento per allenarsi. Voleva distruggerla, bruciarla fino a ridurla a un ammasso di rottami fusi. Pensò a Serena, al piccolo Manion, a tutti gli umani massacrati... e alla sua stessa incapacità di combattere per la Jihad. Questo mek espiatorio sarebbe andato bene, per il momento.

Ma, come fece il primo passo, il metallo fluido della mano libera del robot si mosse improvvisamente, dandosi una nuova forma e plasmandosi in una spada corta con spuntoni sulla lama. L'altra mano smise di gettare scintille e formò un'arma analoga.

"Attento, giovane guerriero. Non vorremmo che l'Armata della Jihad perdesse le tue competenze nelle costruzioni."

Avvertendo una fiammata di rabbia all'osservazione, Vergyl scattò, "Non ho paura di questa macchina."

"La paura non sempre è insensata."

"Anche contro un avversario stupido? Chirox non sa nemmeno che mi sto prendendo gioco di lui, vero?"

"Sono soltanto una macchina," recitò il mek con la sua voce sintetizzata che veniva da un altoparlante. Vergyl indietreggiò, credendo di aver colto una punta di sarcasmo nel tono del robot. Il suo volto non cambiò espressione, come una maschera teatrale.

"Chirox di solito non parla molto," disse Noret sorridendo. "Vai avanti, colpiscilo ancora un po'. Ma sappi che nemmeno io conosco tutte le sorprese che potrebbe avere in serbo."

Vergyl si mosse e valutò nuovamente il suo avversario. Studiò i sensori ottici del robot, che brillavano di un arancione fisso, focalizzati sulla spada a impulso.

Seccamente, esibendo una velocità e una agilità insospettate, Chirox menò un affondo con la spada corta munita di spuntoni ricurvi. Vergyl provò a schivare il colpo, ma non abbastanza velocemente, e uno sfregio poco profondo comparve su una delle sue braccia. Rotolò sul pavimento per allontanarsi e quindi, mentre si rimetteva in piedi, guardò la ferita.

"Non una brutta mossa," disse Noret in tono leggero, come non gli fosse importato se il robot uccideva Vergyl o meno. Uccidere era per lui sia uno sport che una professione. Forse era necessaria una mentalità dura per fare il mercenario di Ginaz, ma Vergyl - che non era equipaggiato con una simile asprezza - realizzò di essersi messo in questa situazione d'impulso, e si preoccupò di poter stare fronteggiando una sfida più impegnativa di quelle per cui era pronto. Il mek da combattimento continuò ad incalzarlo con scatti di improvvisa, imprevedibile velocità, talvolta con degli allunghi, in altri casi con una stupefacente fluidità di movimento.

Vergyl saettava da una parte all'altra, menando fendenti con la spada a impulso. Eseguì un'abile capriola e considerò un tentativo di salto mortale all'indietro, ma non sapeva se sarebbe stato in grado di completarlo. Fallire nella corretta esecuzione di una mossa poteva rivelarsi fatale.

Una delle sue stoccate a impulso colpì il pannello di controllo sul lato sinistro di Chirox, facendolo illuminare di rosso. Il robot si fermò. Un braccio agile e sottile emerse dal suo torace e aggiustò qualcosa all'interno.

"Può ripararsi da solo?"

"La maggio parte dei mek da combattimento può farlo. Volevi uno scontro leale contro una vera macchina avversaria, giusto? Ti ho avvisato, questo robot non combatte al di sotto delle sue possibilità."

Chirox si scagliò improvvisamente contro Vergyl, più duramente e velocemente di prima. Due braccia supplementari uscirono dal corpo. Una reggeva una lunga daga dalla punta seghettata per agganciare e strappare la carne. Nell'altra c'era un luccicante ferro da marchiatura.

Zon Noret disse qualcosa in tono ansioso, ma le parole si fecero confuse. L'intero universo che Vergyl aveva conosciuto fino a quel momento svanì, insieme a tutte le percezioni sensoriali non necessarie. Si concentrò solo sulla sopravvivenza.

"Sono uno jihadi," sussurrò Vergyl. Si rassegnò al suo fato e allo stesso tempo decise di infliggere quanti più danni possibile. Ricordò un detto che anche la Brigata Costruzioni doveva imparare a memoria: "Se muoio nella battaglia contro le macchine, mi unirò a quelli che hanno raggiunto il paradiso prima di me, e a quelli che seguono." Sentì uno stato vicino alla trance consumarlo e rimuovere da dentro di lui ogni paura della morte.

Si immerse nella battaglia, in una grandinata di colpi con la spada a impulso contro il mek, scaricando l'arma più volte. In sottofondo qualcuno urlò qualcosa, parole che non riuscì a riconoscere. Poi Vergyl udì uno scatto sonoro, vide un lampo di colore e una luce gialla brillante lo sommerse. Sembrava una raffica di vento polare, e lo congelò sul posto.

 

Immobilizzato, inerme, Vergyl tremò, quindi cadde. Precipitò per quella che gli sembrò una enorme distanza. I suoi denti battevano e lui tremava. Non sembrava che dovesse arrivare al suolo.
Finalmente si trovò a guardare verso l'alto, nei sensori ottici illuminati del robot. Completamente vulnerabile. "Ora posso ucciderti." La macchina premette la punta rastremata della daga contro il collo di Vergyl.

 

Il mek avrebbe potuto spingere la lama attraverso la sua gola in un microsecondo. Vergyl udì delle urla, ma non poté strisciare via. Guardò verso gli implacabili sensori ottici del robot, verso il volto dell'odiato nemico meccanico. La macchina pensante stava per ucciderlo - e non si trattava nemmeno di una vera battaglia. Era stato un idiota.

Da qualche parte in lontananza delle voci familiari - due voci? - lo chiamavano. "Vergyl! Vergyl! Spegni quella maledetta cosa, Noret!"

Fece un tentativo di alzare la testa e guardarsi intorno, ma non poteva muoversi. Chirox continuava a premere la punta acuminata sulla sua vena giugulare. Aveva i muscoli paralizzati, come incastrati in un blocco di ghiaccio.

"Trovatemi una pistola disgregatrice!" Finalmente riconobbe la voce. Xavier. In qualche modo, assurdamente, Vergyl si preoccupò più della disapprovazione di suo fratello che di morire.

Ma in quel momento il mek si raddrizzò e tolse la lama della daga dalla sua gola.

 

Vergyl udì altre voci, un trapestio di stivali e il clangore delle armi. Avvertì del movimento nella sua visione periferica, e scorse il cremisi e verde delle uniformi jihadi. Xavier urlò degli ordini ai suoi uomini, ma Chirox ritrasse la daga seghettata, le altre armi e tutte le quattro braccia nel torace. I sensori ottici che brillavano ferocemente si ridussero a un opaco barlume.
Zon Noret si mise di fronte al robot. "Non sparare, Segundo. Chirox avrebbe potuto ucciderlo, ma non lo ha fatto. La sua programmazione è di sfruttare il vantaggio di una
debolezza per portare un colpo mortale, eppure ha operato una scelta cosciente contro di
essa."

 

"Non desideravo ucciderlo." Il robot da combattimento si ricollocò in posizione stazionaria. "Non era necessario."

Vergyl finalmente si schiarì la mente a sufficienza da spingersi in una rigida posizione seduta. "Quel mek ha effettivamente mostrato... pietà." Si sentiva ancora confuso per la misteriosa scarica stordente. "Pensate, una macchina con dei sentimenti."

"Non era per nulla pietà," disse Xavier, con cipiglio polemico. Si chinò per aiutare suo fratello ad alzarsi.

"Era la cosa più strana," insistette Vergyl. "Hai visto i suoi occhi?"

Zon Noret, affaccendato intorno al suo mek da combattimento, guardò nel pannello di controllo della macchina, studiò le letture degli strumenti e operò delle correzioni. "Chirox ha semplicemente valutato la situazione ed è entrato nella modalità di sopravvivenza. Ma dev'essere stato qualcosa sepolto nella sua programmazione originale."

 

"Le macchine non si preoccupano della sopravvivenza," scattò Xavier. "Le hai viste alla Colonia di Peridot. Si lanciano in battaglia senza alcuna preoccupazione per la sicurezza personale." Scosse la testa. "C'è qualcosa di storto nella programmazione del tuo mek, una disfunzione."
Vergyl guardò Chirox, colse lo sguardo dei sensori ottici luminosi. Il giovane ufficiale delle costruzioni credette di aver distinto, nelle profondità di quelle luci gemelle, un guizzo di qualcosa di animato, che lo intrigava e lo spaventava allo stesso tempo.

 

"Anche gli umani possono imparare la pietà," disse Chirox, inaspettatamente.

"Lo sottoporrò a un ciclo di revisione completo," disse Noret, ma la sua voce era incerta. Xavier era in piedi davanti a Vergyl che esaminava suo fratello alla ricerca di ferite gravi. Parlò con voce scossa, mentre lo accompagnava fuori dalla camera da allenamento. "Mi hai fatto prendere un bello spavento."

"Volevo soltanto combattere... un vero nemico, per una volta."

Xavier sembrava enormemente rattristato. "Temo, Vergyl, che alla fine avrai la tua occasione. Questa Jihad non si concluderà presto."

 

Titolo originale: Mek Espiatorio

Traduzione: Il Gobb