Dune Italia
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Brani Estratti

Rymoah
Traduzioni di brani estratti da opere inerenti Dune e Frank Herbert.


La Genesi di Dune

Nel seguente saggio Frank Herbert illustra dettagliatamente i concetti e le idee (soprattutto in ambito sociale e politico) che lo guidarono nella creazione del suo capolavoro, Dune.

L'articolo originale è apparso, sotto il nome di "Dangers of the Superhero", nella raccolta "The Maker of Dune", curata da Timothy O'Reilly. Dune Genesis, disponibile sul sito ufficiale DuneNovels.com, riproduce integralmente questo articolo, a parte i primi due capoversi.

Questa traduzione è stata pubblicata con il permesso della Herbert LLC, e può essere liberamente copiata e ridistribuita, per fini non commerciali.

 

La Genesi di Dune

 

Dune nacque da un concetto, inizialmente costituito da immagini perlopiù vaghe, che presero forma in circa sei anni di ricerche ed un anno e mezzo di scrittura. La storia rimase tutta nella mia testa, finchè non apparve sulla carta così come la scrissi.

Come si sviluppò? Concepii l'idea di un romanzo lungo, un'intera trilogia intesa come un unico libro sulle convulsioni messianiche che periodicamente investono la nostra società. Demagoghi, fanatici, truffatori, spettatori innocenti e non così innocenti -- tutti erano destinati a far parte del dramma. Questa decisione è diretta conseguenza della mia teoria secondo cui i supereroi sono disastrosi per l'umanità. Anche se trovassimo un vero eroe (chi o cosa sia non importa), la struttura del potere che viene a formarsi attorno ad una figura del genere finirebbe inevitabilmente nelle mani di esseri umani, esseri umani che commettono errori.

Da osservazioni personali ho concluso che, per quanto riguarda il potere politico/economico e la sua logica conseguenza, vale a dire la guerra, le persone tendono a delegare tutte le loro facoltà decisionali a qualsiasi leader che riesca ad innestarsi nel tessuto mitologico della società. Hitler, Churchill, Franklin Roosevelt, Stalin e Mussolini sono casi emblematici di questo meccanismo.

I miei esempi preferiti sono John F. Kennedy e George Patton. Entrambi si inserirono nello scintillante archetipo di Camelot, creando attorno a loro un'apparenza più grande della loro stessa vita. Ma anche la più distratta delle osservazioni ci rivela che nessuno dei due fu al di sopra della vita. Essendo comunque degli esseri umani, ognuno di loro fu un gigante dai piedi di argilla.

Questa, quindi, fu una delle mie tematiche principali in Dune: non rassegnate acriticamente tutte le vostre facoltà decisionali alle persone al potere, a prescindere da quanto ammirevoli possano sembrare. Appena sotto la facciata dell'eroe troverete un essere umano, che compie errori umani. Sorgono enormi problemi, quando degli errori umani vengono commessi sulla scala d'azione di cui dispone un supereroe. Inoltre, in certi casi si finisce in un altro problema. E' infatti dimostrabile che la struttura del potere tende ad attirare individui desiderosi di acquisire potere per il puro gusto di averlo, e che molti di essi sono persone non molto equilibrate -- pazzi, in una parola.

Questo fu dunque l'inizio. Gli eroi sono dannosi, i supereroi sono una catastrofe. Gli errori dei supereroi coinvolgono troppi di noi in disastri.

Personalmente considero i sistemi stessi come pericolosi. Sistematico è una parola mortale. I sistemi si generano con i loro creatori umani, con persone che li utilizzano. I sistemi prendono il sopravvento e continuano, continuano a fare danni. Sono come un'onda anomala che inghiotte qualsiasi cosa lungo il suo cammino. Qual è la loro origine?

Tutte queste idee contengono elementi di intenso dramma e di intrattenimento -- ed io, prima di tutto, appartengo al business dell'intrattenimento. E' molto importante trasmettere dei messaggi con le proprie opere, ma non è l'ingrediente fondamentale per garantirsi un ampio pubblico di lettori. Certo, in Dune sono presenti delle analogie con eventi di attualità -- corruzione e tangenti che intaccano le più alte istituzioni, intere forze di polizia in mano al crimine organizzato, agenzie di controllo sopraffatte dalle persone che dovrebbero essere controllate. La scarsità di acqua su Dune è un'esatta analogia della scarsità di petrolio ai giorni nostri. La CHOAM è l'OPEC.

Ma questo fu solo l'inizio.

Mentre questo concetto era ancora vivido nella mia mente, mi recai a Florence, nell'Oregon, per scrivere un articolo sul progetto del Dipartimento di Agricoltura Statunitense (USDA - US Department of Agriculture). Lo USDA stava sperimentando dei metodi per controllare le dune di sabbia costiere (ed altri tipi di dune). Avevo già scritto diversi articoli su questioni ecologiche, ma la mia teoria del supereroe mi instillò il presentimento che l'ecologia avrebbe potuto essere il nuovo stendardo per demagoghi ed eroi da operetta, per gli assetati di potere e per quelli pronti a cercare scariche di adrenalina in una nuova crociata.

La nostra società, dopotutto, fa leva sulla colpa, che spesso serve solo a nascondere il suo funzionamento reale e prevenire soluzioni ovvie. L'eccitamento da adrenalina può indurre assuefazione come ogni altro tipo di droga.

L'ecologia, in ogni caso, risponde ad un'esigenza reale, ed il progetto di Florence alimentò il mio interesse su come ci imponiamo sul nostro pianeta. Iniziai ad intravedere la forma di un problema globale, le cui parti erano tutte interconnesse tra loro -- ecologia sociale, ecologia politica, ecologia economica. La lista potrebbe continuare all'inifinito.

Perfino dopo tutto il lavoro di ricerca e di scrittura che ho fatto, trovo delle allusioni attuali di questo problema nelle religioni, nelle teorie psicanalitiche, nella linguistica, nell'economia, nella filosofia, nella botanica, nella chimica del suolo e nei metalinguaggi dei feromoni. Un nuovo campo di studi nasce da questa deduzione, come uno spirito evocato dal calderone di una fattucchiera: la psicologia delle società planetarie.

Tutto questo portò ad una profonda rivalutazione del mio concetto originale. Inizialmente ero pronto, come chiunque altro, a cadere nello stesso errore, a cercare il colpevole e punire i peccatori, a diventare perfino un nuovo leader. Sentivo che niente mi avrebbe dato più soddisfazione del cavalcare il destriero del giornalismo in una crociata, pubblicando il libro che avrebbe raddrizzato gli antichi torti.

La rivalutazione sollevò domande inquietanti. Ora credo che l'evoluzione, o l'involuzione, non finisca mai, che nessuna civiltà abbia mai raggiunto un apice assoluto, e che tutti gli esseri umani non siano uguali. Ritengo infatti che la creazione di astratti egualitarismi porti con sé una caterva di ingiustizie, che ricade sui sostenitori dell'uguaglianza. Una giustizia equa e delle opportunità eque sono ideali a cui dovremmo cercare di tendere, ma dovremmo anche ricordarci che gli umani amministrano questi ideali, e che tutti gli umani non hanno uguali capacità.

La rivalutazione mi insegnò a procedere con cautela. Mi avvicinai al problema con trepidazione. Sicuramente, secondo i nostri standard più permissivi, c'era un mare pieno di obbiettivi visibili, una pletora di cieco fanatismo e bieco opportunismo a cui lanciare l'amo.

Ma come ci siamo ridotti in questo stato? Quali sono le condizioni che, per esempio, creano un Nixon? Che parte recitano gli indifferenti nella creazione di un potente? Se un leader non può ammettere i propri errori, questi errori verranno insabbiati. Chi dice che i nostri leader debbano essere perfetti? Chi gli mette in testa quest'idea?

Inizia la fuga. In musica, la fuga è solitamente basata su un singolo tema che viene suonato in diversi modi. Ogni tanto ci sono delle voci libere che si esibiscono in virtuosismi impressionanti lungo gli intermezzi.
Possono anche esserci temi secondari e contrasti nell'armonia, nel ritmo e nella melodia. Nel momento in cui una singola voce introduce il tema principale, comunque, tutti questi elementi vengono armonizzati in un singolo insieme.

Quali furono i miei strumenti in questa fuga di tipo ecologico? Immagini, conflitti, elementi che si ritorcono contro di loro e si trasformano in qualcosa di completamente diverso, figure mitiche e strane creature dalle profondità del nostro inconscio collettivo, prodotti della nostra evoluzione tecnologica, i nostri desideri e le nostre paure umane.

Potete immaginarvi il mio stupore quando venni a sapere che John Schoenherr, uno dei più famosi artisti ed illustratori di ambienti selvaggi, aveva vissuto con le mie stesse immagini in testa. La gente stenta a credere che John ed io non ci consultammo mai prima della realizzazione delle sue illustrazioni per Dune. Vi assicuro che i suoi disegni furono una splendida sorpresa per me.

I Sardaukar appaiono come le pietre scolpite dalle intemperie di Dune. La pancia del Barone potrebbe assorbire un pianeta intero. Gli ornitotteri sono insetti che predano sul terreno. I vermi della sabbia sono dei teredinidi mostruosamente cresciuti. Stilgar ci fulmina con uno sguardo da stregone.

Ciò che mi soddisfa, in particolare, è vedere i temi intrecciati, le immagini in relazione tra loro come nella fuga di un'opera musicale, che suona esattamente nello stesso modo in cui Dune prese forma.

Come in una litografia di Escher, ho coinvolto me stesso in tematiche ricorrenti che finiscono per trasformarsi in paradossi. Il paradosso centrale riguarda la visione umana del tempo. Cosa si può dire del dono della prescienza di Paul -- la fissazione presbiteriana? L'Oracolo di Delfi deve impegolarsi in una rete di predestinazione, affinché possa predire il futuro. Eppure la predestinazione è l'antitesi della sorpresa e, di fatto, configura un universo matematicamente delimitato, i cui confini sono sempre inconsistenti ed incontrano sempre l'indimostrabile. E' come un koan, un aforisma Zen. E' come Epimenide di Creta quando afferma "Tutti i cretesi sono bugiardi".

Ogni passo descrittivo che muovete per limitare il problema porta la vostra visione verso l'esterno, in un universo sempre più grande all'infinito, e verso l'interno, in un universo sempre più piccolo all'infinito. Non importa quanto finemente riusciate a suddividere il tempo e lo spazio, ogni piccola divisione contiene al suo interno l'infinito.

Ma questo implicherebbe la possibilità di tagliare linearmente il tempo, aprirlo come un frutto maturo, e vederne le connessioni sequenziali. Potreste essere prescienti, predire accuratamente. Predestinazione e paradosso, ancora una volta.

Il difetto di questo ragionamento deve essere insito nei nostri metodi di descrizione, nei linguaggi, nelle reti sociali del significato, nelle strutture morali, nelle filosofie e nelle religioni, che insieme convogliano limiti intrinseci laddove, in realtà, non esistono. Paul Muad'Dib, dopo tutto, dice la stessa cosa in più occasioni nel corso di Dune.

Volete una predizione assoluta? Allora volete solo l'oggi, e rifiutate il domani. Siete conservatori fino al midollo. State cercando di trattenere il movimento in un universo che muta continuamente. Il verbo essere ci rende tutti idioti.

Naturalmente ci sono altri temi ed intermezzi di fuga in Dune e nella trilogia. Nel Messia di Dune viene suonata una classica inversione di tema. I Figli di Dune espande invece il numero di temi che suonano tra di loro. Mi rifiuto, comunque, di fornire altre risposte a questo complesso miscuglio. Ciò fa parte della struttura della fuga. Trovatevi da soli le vostre soluzioni. Non guardatemi come se fossi il vostro leader.

Vi consiglio indubbiamente un po' di cautela, che non deve però trasformarsi nel terrore che blocca ogni movimento. Siate malleabili. E quando qualcuno vi chiede se state per fondare una nuova religione, fate come faccio io: scappate a a gambe levate. 

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Traduzione: Rymoah

Altri Link

- Brano in lingua originale (apparso originariamente sul sito ufficiale di Dunenovels.com).




Brani estratti da Dreamer of Dune




Brani estratti da “Dreamer of Dune”


Cover Dreamer of Dune




I brani seguenti sono estratti dalla biografia di Frank Herbert “Dreamer of Dune”, scritta da suo figlio Brian. La versione originale è disponibile sul sito ufficiale DuneNovels.com


Questa traduzione è stata pubblicata con il permesso della Herbert LLC, ed è apparsa per la prima volta sul sito di Fabbricanti di Universi in due puntate, nell'ottobre del 2010. E' consentita la libera copia e distribuzione di questa traduzione, per fini non commerciali.


 


DRAGON IN THE SEA

Quella primavera (1955) Papà ricevette un'offerta di lavoro che consisteva nel pubblicizzare la Douglas Fir Plywood Association (DFPA) di Tacoma. L'impiego non era proprio ben retribuito, ma con quei guadagni potemmo permetterci un posto migliore dove vivere -- non che fosse un granché, comunque. Ci trasferimmo in una vecchia casa sgangherata sulla costa di Marine View Drive, oltre la baia di Tacoma. La casa, rovinata dalle intemperie, con una veranda che la circondava quasi interamente, era posizionata su uno stretto lembo di terra a circa venti piedi sotto il livello della strada, e la si raggiungeva tramite due scalinate. Parte della struttura portante era a palafitta, e sotto la casa c'era una vecchio molo.

Per il suo studio, Papà sistemò una scrivania in quello che una volta era stato il soggiorno. Questo gli permise di avere una vista del canale di navigazione industriale, pieno di rimorchiatori e sbarramenti di tronchi. Ogni sera dopo il lavoro alla DFPA ed ogni weekend sentivo la sua macchina da scrivere portatile funzionare costantemente -- un rapido ritmo di tasti simile ad una mitragliatrice.

Tacoma si era guadagnata da molto tempo una cattiva reputazione per la qualità pessima dell'aria, conosciuta come "l'aroma di Tacoma". C'erano parecchie fabbriche di lavorazione del legno dentro e attorno alla città e dalla nostra casa era visibile anche l'alta torre della gigantesca fonderia oltre la baia. A causa dello scarico di arsenico, metalli pesanti ed altri rifiuti industriali, la costa aveva un distintivo, spiacevole aroma, specialmente quando la marea era bassa.

Nei sei mesi che vivemmo in quella casa, Bruce ed io dormimmo su sottili materassi, adagiati su un un paio di slittini, in una veranda chiusa e non riscaldata. La veranda aveva piccole finestre quadrate su tre lati ed un rivestimento esteriore sul muro in comune con la casa, dimostrando chiaramente che il locale era stato un'aggiunta alla struttura originale. Gli slittini, comprati di seconda mano da nostro padre per ragioni solo a lui chiare, erano stati in qualche modo adibiti a brande, con pezzi di cuoio tirati e assicurati da lacci (sempre in cuoio).

Due dei racconti brevi fantascientifici di Papà furono pubblicati quell'anno, "Rat Race" (Astounding Science Fiction, luglio 1955) [in Italia la storia è conosciuta sotto il titolo "Corsa di Topi", pubblicata su La Strada per Dune da TeaDue, NdT] e "Occupational Force" (Fantastic, agosto 1955). Il ricavato delle due storie fu davvero esiguo.

Nella nostra nuova casa a Tacoma, appena aveva un po' di tempo libero, mio padre lavorava al suo romanzo sottomarino. Terminò il libro da 75000 parole UNDER PRESSURE [pubblicato in Italia col titolo RAM 2000 da Fanucci, NdT] nell'aprile del 1955, e lo spedì al suo agente, Lurton Blassingame. Venne organizzato con molte interruzioni nella storia, rendendolo facilmente adattabile alla pubblicazione a puntate.

Quando scrisse il libro, aveva in mente il leggendario editore diAstounding Science Fiction, John W. Campbell. Tra le sue occupazioni, Campbell era anche uno scrittore di fantascienza.

Il titolo dato da Frank Herbert, UNDER PRESSURE, aveva un doppio significato: l'ovvio riferimento al mondo sommerso e l'implicita infierenza psicologica, che alludeva allo stress esercitato sull'equipaggio della nave. 

A metà degli anni '50, una grossa struttura medica venne inaugurata a Tacoma, l'ospedale per bambini Mary Bridge. Quando finì il lavoro da redattrice di testi pubblicitari freelance, Mamma trovò un impiego part-time nell'ospedale, scrivendo letteratura promozionale per raccogliere fondi.

A cena, mio padre parlava a volte di scrittura e dei suoi tentativi di vendere racconti, lamentandosi di certi editori. Ogni tanto, mentre mangiava, leggeva brani che aveva scritto a mia madre, presi da pagine di manoscritti impilati sul suo piatto, e le chiedeva la sua opinione. Lei dava sempre suggerimenti, e lui ne teneva conto facendo annotazioni a matita sulle pagine. In altri momenti, Papà e Mamma sedevano nel piccolo soggiorno, guardando la costa, mentre lui le leggeva racconti e capitoli di romanzi.

Solo nove anni prima, al college, mia madre aveva sognato di diventare anche lei una scrittrice professionista. Con gli impegni della vita famigliare, però, questo sogno stava svanendo. La realtà le disse che non potevano esserci due scrittori creativi in una famiglia. Chi avrebbe mantenuto la casa?

Nel mezzo del nostro pressante bisogno di soldi, Mamma disse a Papà di non preoccuparsi, che se fosse stato necessario avrebbe lavorato lei in un grande magazzino o da qualche altra parte finchè le sue opere non avessero avuto successo. In questo ed in innumerevoli altre faccende Beverly Herbert era completamente priva di egoismo, e fece un sacrificio incredibile -- dando a mio padre un vero dono d'amore. Credeva nelle sue abilità di scrittore, e diceva sempre che aveva molto più talento di quanto lei ne avesse, che lei aveva soltanto un po' di attitudine per la scrittura.

Nel suo cuore, era sicura che lui un giorno sarebbe diventato tremendamente famoso: aveva un bisogno così potente di scrivere, una passione incredibile, che lei sapeva di non poter reggere il suo confronto, o di esercitare pressione su di lui per guadagnare più soldi, a spese del suo potenziale creativo. Mio padre non era felice a meno che non stesse scrivendo.

A parte sacrificare una carriera da scrittrice creativa, Mamma stava anche abbandonando una vita casalinga tradizionale. Le piaceva sistemare la casa, farne una dimora accogliente, ma con la sua carriera necessaria c'era meno tempo per queste faccende. Ciononostante cuciva, tesseva, lavorava all'uncinetto e sfornava torte. Preparava vestiti per noi e rammendava i nostri calzini. Era essenzialmente una pantofolaia, e avrebbe potuto diventare una buona scrittrice se si fosse sposata con qualcun'altro -- con qualcuno che le avrebbe permesso il lusso di stare a casa vicino alla macchina da scrivere. Invece venne forzatamente tirata fuori dal suo elemento per andare sul posto di lavoro, in un'epoca in cui la maggioranza delle donne non lavorava lontano da casa.

La sua fede venne premiata. Nel giro di due settimane, quando UNDER PRESSURE raggiunse New York, John W. Campbell fece un'offerta per pubblicarlo a puntate su Astounding Science Fiction. Fu un tempo di risposta incredibilmente breve per un editore. L'offerta di Campbell era di quattro centesimi a parola, per un guadagno totale di circa 2700$, al netto della commissione di Lurton del 10%. Papà accettò senza esitazione.

Campbell chiese due riassunti. Intendeva pubblicare la storia in tre puntate di circa 25000 parole ciascuna, ed i riassunti erano necessari per ricordare ai lettori cosa era successo nelle puntate precedenti. Venne pianificato di pubblicare la serializzazione a partire da novembre del 1955 fino a gennaio del 1956.

Lurton si concentrò subito nel cercare di vendere il romanzo in forma di libro. A Walter I. Bradbury, editore di Doubleday, piacque il libro, e non si fece scappare l'occasione di comprarne i diritti nel giugno del 1955. Questo fece guadagnare altri 3600 $ netti all'autore, perciò il libro stava cominciando a rendere bene per gli standard degli anni '50. Permise a Papà di pagare vecchi debiti, inclusa una parte del denaro che doveva alla sua ex-moglie, Flora.

Quelli di Doubleday furono così impressionati dal romanzo che curarono subito l'edizione del manoscritto e ne programmarono la pubblicazione per febbraio dell'anno successivo. Fu soltanto un mese d'attesa, il minimo con cui Doubleday poteva pubblicare il libro, che seguì la serializzazione su Astounding Science Fiction. Anche il Science Fiction Book Club comprò il romanzo, ma pagò una cifra minima per i diritti.

Ispirata dal successo di Papà, Mamma passava ogni momento libero a scrivere un romanzo giallo da 64000 parole, FRIGHTEN THE MOTHER. Venne spedito a Lurton durante l'estate del 1955. Anche se gli piacevano alcune parti, Lurton aveva l'impressione che il manoscritto avesse bisogno di un'ulteriore rifinitura, e le disse che non era ancora pronto ad essere sottoposto agli editori. Scoraggiata, Mamma lo mise da parte. Non aveva la perseveranza di Papà.




 




L'AUTO DI FAMIGLIA

Verso la fine dell'agosto 1955, Papà decise che era giunta l'ora di sbarazzarci della nostra vecchia e sgangherata auto, una Dodge, in favore di un mezzo di trasporto più affidabile. Venne a sapere di una macchina alquanto insolita, messa in vendita da un'impresa di pompe funebri di Tacoma. L'accordo fu concluso, ed i miei genitori comprarono per 300$ un carro funebre usato. Era una Cadillac LaSalle del 1940, ed aveva percorso solo 19.000 miglia. Papà dedicò al veicolo un racconto da 1000 parole, mai pubblicato, che intitolò "La Macchina Invisibile". Come spiegazione del titolo, scrisse:

"Nessuno guarda un carro funebre a meno che non sia costretto. Gli occhi si rifiutano di cambiare visuale. Vedono che stai passando, eppure non ti guardano. Non c'è il minimo segno di riconoscimento".

La nostra "auto" era diversa da tutto ciò che avevo visto fino a quel momento. Non avevo neanche mai sentito il termine "carro funebre", ma ne imparai presto il significato. Non ricordo di esser rimasto granché sorpreso. Dopotutto, dormivo su uno slittino, mentre gli altri ragazzi avevano un letto: perchè il carro funebre avrebbe dovuto essere così fuori dalla norma? Papà sosteneva che il grosso e pesante veicolo era in grado di percorrere 27 miglia con un gallone, su alcuni tratti di strada. A mio padre ogni tanto piaceva esagerare, ma su questo era irremovibile.

La parte anteriore puzzava di polvere e cuoio vecchio. Sul cruscotto era appoggiata una piccola ventola elettrica, ed un sedile di cuoio strappato si allungava lungo tutto il compartimento -- un sedile che, come scriveva Papà, era "blu/nero scuro come l'uniforme di un becchino". Un paio di piccoli finestrini a scorrimento separavano la parte anteriore dal retro, dimodoché, se qualcuno dentro una bara avesse lanciato un gemito, probabilmente il guidatore non l'avrebbe udito.

Quando andammo per la nostra prima gita domenicale, Papà prese il volante e Mamma si sedette a fianco. Dato che lei fumava le sue abituali Lucky Strikes, abbassò il finestrino per far uscire il fumo. Mio fratello Bruce ed io eravamo nel retro, agitati dalle macabre barzellette che raccontava mio padre, ridendo lugubremente. Una settimana dopo l'acquisto della macchina, Mamma disse, "A settembre non andrai a scuola qui, Brian. Tuo padre ed io ti faremo da insegnanti in Messico".

Saremmo andati in Messico col carro funebre.

Il carro funebre, che per la nostra famiglia era diventato una sorta di furgone, era nero, con dei grossi parafango arrotondati. Aveva delle portiere a forma di cappella, decorazioni di peltro e dei candelabri sui lati dello scompartimento posteriore. Papà dipinse di argento il tettuccio, convenendo con Mamma che avrebbe riflesso meglio il calore tropicale, rispetto al nero originale. Lui e Mamma dipinsero anche le portiere di un giallo brillante, tanto per divertimento. Ciò avrebbe distinto il veicolo (secondo loro) da un normale carro funebre.

Durante i preparativi del viaggio, Papà si divertiva a girare per Tacoma con un completo scuro, impersonando un becchino. Al concessionario Cadillac, dove fece revisionare la macchina, costrinse il meccanico a stringergli la mano. Notò con allegria che il tizio si pulì la mano sulla tuta, presumendo che l'uomo del carro funebre avesse maneggiato dei cadaveri. Diabolicamente, Papà obbligò il poveruomo ad un'altra stretta di mano, e poco dopo lo vide dirigersi in fretta e furia verso il bagno.

Frank Herbert non era un uomo paziente. Nei ristoranti, mentre aspettava il cibo, si trasformava spesso in un orso brontolone. Scoprì divertito che i proprietari dei ristoranti erano a disagio con un carro funebre parcheggiato fuori, e facevano di tutto pur di servire velocemente il guidatore. Un carro funebre davanti ad un ristorante portava alla mente immagini di intossicazioni alimentari... di salmonella, ptomaina, epatite e soffocamenti per ossa di pollo. Magari il becchino stava raccogliendo qualcuno che era stato così sfortunato da mangiare in quel locale.

"Non preferirebbe il pranzo d'asporto, signore?" gli chiese una volta un gestore, dopo che Papà era entrato per chiedere un tavolo. Il gestore osservava preoccupato il carro funebre, parcheggiato proprio davanti alla porta d'ingresso.

"No, grazie" replicò Papà, con tono fermo. "Il mio medico dice che ho bisogno di prendermela con calma. Non vorrei finire..." guardò il carro funebre di sottecchi. "Beh, avrà capito cosa intendo!"

Perfino i fastfood drive-in servivano più in fretta quando arrivava Papà. Lui e Mamma adoravano il pollo fritto di un take-away a Tacoma, e per oltre un paio di settimane andò diverse volte alla finestra del drive-in col carro funebre, per ordinare due o quattro cene complete a base di pollo. Ad un certo punto vide i camerieri correre dentro ancor prima che raggiungesse la finestra! Qualcuno lo vedeva arrivare in lontananza, e cominciava già a preparargli il pollo. Davvero veloce!

In quel periodo, una volta, Papà stava aspettando ad un semaforo nella corsia più a destra di una strada a quattro corsie, un evento che descrisse ne "La Macchina Invisibile":

Da dietro arrivò una macchina truccata con otto adolescenti stipati a bordo. Svoltarono l'angolo dietro di me su due ruote ed inchiodarono al semaforo nella corsia alla mia sinistra. Guardai in basso, ed incrociai otto paia di occhi sbarrati.

"Guidate con prudenza," Dissi, con voce tombale.

Il semaforo diventò verde.

Attraversarono lentamente l'incrocio, con la più delicata e moderata applicazione dell'acceleratore.

Colsi quel momento per mostrare che la Macchina Invisibile riusciva a fare da 0 a 65 miglia orarie in nove secondi.

Il Tacoma News Tribune ci dedicò un articolo, con una splendida foto di Mamma e Papà che posavano davanti all'auto di famiglia. Papà indossava una camicia a maniche corte a strisce blu e bianche, e sorrideva compiaciuto mentre guardava dritto nella macchina fotografica. Mamma, con i suoi capelli corti tagliati alla moda, indossava i suoi colori preferiti, una camicetta verde smeraldo abbinata ad una gonna verde e bianca. Sorrideva, ma nella sua timida maniera, non guardando direttamente nella macchina.

Dentro il grosso e pesante veicolo caricammo diversi scatoloni e casse contenenti i nostri effetti personali, impilandole fino all'altezza dei finestrini che separavano il compartimento posteriore da quello anteriore. Portammo con noi una vecchia macchina da cucire Elna di color verde, un paio di macchine da scrivere Olympia, parecchie risme di carta, due bauli che avevano attraversato Kelly Butte su un mulo, un registratore a bobina, attrezzi e parti di ricambio per l'auto, nastri con la musica preferita dei miei genitori, canne da pesca, macchina fotografica, giocattoli, vestiti... e forse perfino un lavello, in mezzo a tutta quella roba. Papà prese un kit medico completo, con antibiotici, siringhe ipodermiche, lacci emostatici ed antidoti per il veleno dei serpenti, così come molti libri di medici appena pubblicati, incluso il CECIL'S TEXTBOOK OF MEDICINE e il MERCK MANUAL.

In cima ai nostri bagagli Papà sistemò uno strato di compensato della DFPA, e sopra di esso stese diverse coperte morbide. Bruce ed io viaggiammo lì dietro, con un sacco di spazio a disposizione. Avevo con me Dusty, il mio cane e migliore amico, che zampettava allegramente attorno a noi, leccando le nostre facce. Ne "La Macchina Invisibile" Papà definiva il nostro carro funebre come "un'arena itinerante, un ring di lotta libera munito di ruote".

Papà montò un portapacchi sul tettuccio del carro funebre, su cui trasportavamo la ruota di scorta. Due otri d'acqua di tela grigia erano legati alla griglia, drappeggiati in avanti.

Dovendo lasciare la casa che avevamo affittato, bisognava decidere a chi dare tutti gli oggetti di nostra proprietà che non ci saremmo portati dietro. I libri furono lasciati in prestito a degli amici, il resto fu invece venduto o donato in beneficenza.

La mattina di settembre in cui partimmo, Papà era di umore incredibilmente allegro, tanto che cantava e faceva battute spiritose sui cartelli stradali. Ogni volta che vedeva un cartello con scritto "Stop Ahead", esclamava, "Stop! A head in the road!" [Gioco di parole intraducibile che significa "Stop avanti" e "Stop! Una testa sulla strada", NdT].

Papà guidò per tutto il viaggio, poichè Mamma aveva paura di guidare e non aveva la patente. Mentre i giorni passavano lentamente, diventò sempre più stanco ed irascibile, soprattutto perchè Dusty non aspettava le soste per fare i suoi bisogni. Scelse invece un angolo nel retro, e già dal secondo giorno un distinto, spiacevole aroma si spanse da quelle vicinanze. Le sue feci e la sua urina avevano infradiciato le coperte, bagnando addirittura il compensato ed arrivando sui bagagli sottostanti.

Quando raggiungemmo Ralph ed Irene Slattery a Sonoma, in California, Mamma e Papà ne avevano avuto abbastanza di Dusty, perciò lo affidarono a loro.

Il carro funebre tendeva a far saltare il cambio quando era sulla marcia bassa, dato che era stato guidato costantemente in prima durante le processioni dei funerali. Papà a volte doveva tenere premuta la leva del cambio per non farla andare fuori posto. Ogni tanto quando Papà voleva andare in prima faceva tenere la leva a me o a Bruce. Era un cambio ad H, posizionato sul lato destro del piantone dello sterzo.

Ricordo le caldi notti della California e del Sudovest in autostrada, con le teste dei miei genitori che si stagliavano contro la fioca luce serale dei lampioni. Ricordo anche stanze di motel infestate dalle pulci e senza aria condizionata, con le finestre lasciate aperte. Fuori udivo i grilli frinire, e sentivo odore di erba secca, di bovini, di fertilizzanti e di terra oppressa dal caldo.

Al confine, gli ufficiali di frontiera messicani eseguirono una rapida ispezione dei nostri averi. Fortunatamente non rimossero i pannelli delle portiere, o avrebbero scoperto la pistola automatica nascosta da Papà, che portava con sè per difesa personale.

Mentre il nostro carro funebre attraversava il Messico, diretto a sud, alcuni devoti Cattolici si inginocchiavano o si appoggiavano i cappelli di paglia sui loro cuori. Credevano senza dubbio che stavamo trasportando un povero defunto alla sua meta finale. Appena lasciammo il primo villaggio in cui avvenne questa curiosa scena, e ci inoltrammo in piena autostrada, Papà e Mamma scoppiarono a ridere. Risero così forte da farsi lacrimare gli occhi, e Papà dovette accostare la macchina.

Non avevamo con noi molto denaro, circa 3.000$ in contanti e assegni. Ma i prezzi erano così bassi che potevamo vivere bene, molto meglio che negli Stati Uniti. Alcuni hotel messicani in cui alloggiammo erano quasi degni di un palazzo, con corti adornate da fiori e mobili di ottima qualità.

Papà era sicuro che in Messico il suo lavoro di scrittore avrebbe incrementato le nostre riserve monetarie, anche se anni dopo si sarebbe riferito a questa convinzione come fondata completamente sul mito. Un giorno sarebbe diventato uno studioso della mitologia moderna -- coinvolto in ricerche che erano collegate, inestricabilmente, con la psicologia individuale e di massa. I miti erano tutti intorno a noi, era solito dire. Il mito di avere una barca a vela o un ranch, per esempio, o di diventare un grande scrittore senza lavorare duro ed impararne l'arte.

Oppure il mito idilliaco di cui si scoprì essere alla ricerca: Frank Herbert si vedeva in un remoto villaggio tropicale, a battere un capolavoro letterario su una macchina da scrivere manuale.

Aveva venduto parecchi racconti brevi nel 1954. Ci furono meno vendite nel 1955, ma quell'anno riuscì a concludere la vendita per la pubblicazione del suo primo romanzo, UNDER PRESSURE. Prima di partire per il Messico, aveva anche saputo dal suo agente che un produttore cinematografico era interessato al libro.

Passammo attraverso la brulicante città commerciale di Toluca, appena ad ovest di Città del Messico, e quindi imboccammo un'autostrada verso nordovest. La nostra destinazione era il villaggio montano di Tlalpujahua, nello stato di Michoacan. Questo posto era stato raccomandato da Mike Cunningham, un amico americano con cui ci eravamo incontrati negli ultimi giorni. Era davanti a noi nella sua vecchia station wagon, sollevando nubi di polvere su una lunga strada sterrata che portava al villaggio.

Vicino a Tlalpujahua la strada si restrinse e la giungla divenne più fitta intorno a noi. Qualche casa spuntava dalla vegetazione rigogliosa, in piccole radure. Alcune erano baracche col tetto in lamiera mentre altre erano costruite con mattoni più robusti, e con il tetto in tegole. Alcune di esse avevano cucine all'aperto, appoggiate contro le pareti. Sentii l'odore acre dei fornelli che bruciavano arbusti secchi, erba e sterco di asino. Il sole tramontò ed arrivammo in un piccolo hotel di Tlalpujahua al crepuscolo.

Nei giorni successivi affittammo una casa di mattoni e stucco bianco, con un cancello in ferro battuto ed una pesante porta di legno intagliata. I locali erano organizzati a forma di U attorno ad un cortile centrale. La casa, di quattordici locali, apparteneva a Señorita Francisca Aguilar, una donna robusta conosciuta come "Señorita Panchita". Dato che i costi erano così bassi, potevamo permetterci una domestica, un cuoco ed un giardiniere. 

Quasi tutti i giorni, Papà scriveva dalla mattina presto fino al tardo pomeriggio. Dalle 2:30 alle 3:30 del pomeriggio gli piaceva godersi la siesta, il tradizionale sonnellino pomeridiano che preveniva la gente dall'uscire durante le ore più calde della giornata.

Ogni giorno, Mamma preparava la sua macchina da scrivere portatile sul tavolo della sala da pranzo e lavorava alla revisione del suo romanzo giallo, FRIGHTEN THE MOTHER. Non dedicava così tante ore come Papà a questo lavoro, poiché impiegava molto più tempo di lui nelle faccende domestiche, incluso badare ai suoi figli. Sfortunatamente, aveva anche problemi con la storia.

Quando i miei finivano di lavorare amavano passeggiare insieme per il paese. Ricordo che io giocavo a biglie e li vedevo passare per strada, tenendosi per mano e parlando. Mi salutavano e sorridevano, continuando per la loro passeggiata. Gli piaceva visitare un posto al tramonto, da cui potevano osservare i tetti arancioni della città sotto un magnifico e coloratissimo cielo.

Come in ogni altro posto in cui avevamo abitato, la posta era cruciale per mio padre. Qui però era più importante del solito, visto che non avevamo il telefono. Contratti, documenti ed assegni sarebbero dovuti arrivare per posta, ci disse, e per quel motivo tutta la corrispondenza era da trattare con estrema cura. Con il passare del tempo arrivammo a conoscere molto bene il nostro postino, Jesus Chako. Era un uomo esile ed affabile, e sempre molto cortese. Quando un giorno consegnò un assegno come pagamento per un articolo che Papà aveva scritto (125$) mio padre disse a mia madre, "Gesù ha portato la manna dal Paradiso!"

Una volta accadde un equivoco postale, nonostante i minuziosi controlli di mio padre, quando Doubleday inviò la bozza in colonna di UNDER PRESSURE al nostro precedente indirizzo di Tacoma, e non venne inoltrata in Messico. Di conseguenza, dovettero spedire a mio padre un duplicato della bozza. La questione divenne di estrema urgenza a causa delle scadenze imposte dall'editore, così, non appena Papà ricevette la bozza, ci lavorò sopra giorno e notte finché non fu corretta e rispedita indietro a New York.

All'editore non piacque il titolo UNDER PRESSURE, e chiese all'autore un'alternativa. Mio padre preferiva il titolo originale, ma suggerì comunque THE DRAGON IN THE SEA, che fu usato per l'edizione Doubleday in copertina rigida.

Sotto molti aspetti il nuovo titolo era migliore, per l'ovvia suggestione mitologica. Esiste un'antica leggenda cinese che narra di un feroce, terrificante "dragone che vive nel mare". La Bibbia (Isaia 27:1) contiene una descrizione simile: "... e il Signore visiterà con la sua spada il Leviatano [...], ed ucciderà il mostro che è nel mare". Questi passaggi, in particolare il secondo per i lettori occidentali, aggiungevano significato e profondità al titolo.

Nella storia di mio padre, il "dragone" era un sottomarino nucleare che trasportava petrolio in acque di guerra, un natante che difendeva il carico da chiunque volesse danneggiarlo. Questo sottomarino alludeva ai mostri mitologici che, in varie leggende, erano a guardia di un grande tesoro.

La mitologia di questi mostri fu analizzata da Sir James George Frazer nel suo opus magnum del diciannovesimo secolo, THE GOLDEN BOUGH, una delle opere preferite e più studiate da mio padre. Frazer descrisse il vello d'oro del sacro ariete sacrificato a Zeus, che Frisso donò al padre di sua moglie e lo appese ad una quercia, a cui faceva guardia un drago che non dormiva mai. In BEOWULF, anch'esso letto da mio padre, un feroce drago sputafuoco abitava in un antro sotto le scogliere in riva al mare, ed era a guardia di un immenso tesoro.

Questa tematica divenne successivamente centrale in DUNE, un mondo in cui i giganteschi e feroci vermi della sabbie facevano la guardia al più prezioso dei tesori dell'universo, la spezia melange. Come in THE DRAGON IN THE SEA, il tesoro era appena sotto la superficie del pianeta.

Petrolio e melange erano simili, perchè chiunque controllasse la preziosa e limitata risorsa controllava anche l'universo conosciuto, come descritto in ciascuno dei due romanzi.


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Traduzione: Rymoah


 


Altri Link


- Brano in lingua originale (apparso originariamente sul sito ufficiale di Dunenovels.com)


- Link alla traduzione su Fabbricanti di Universi.




Altro materiale originale di Frank Herbert

Durante l'editing di The Road to Dune, Brian Herbert e Kevin J. Anderson hanno eliminato parecchi dei documenti e dei manoscritti originali di Frank Herbert rinvenuti in alcune scatole in casa di Brian. Quello che segue, insieme alla scena tagliata da Rifondazione di Dune, fa parte del materiale che non è arrivato alla bozza finale del libro. Si tratta di una breve biografia di Frank Herbert, scritta da sua moglie Beverly, e di alcuni appunti sparsi per una possibile opera lirica ispirata a Dune, idea che l'autore non sviluppò ulteriormente nel corso della sua carriera.

La pagina originale è disponibile sul sito ufficiale di DuneNovels.com. La traduzione che segue è stata pubblicata con il permesso della Herbert LLC, e può essere liberamente copiata e distribuita, per fini non commerciali.

 

BREVE BIOGRAFIA DI FRANK HERBERT 

Scritta da Beverly Herbert prima della pubblicazione di DUNE. 

Età 45 anni/nato a Tacoma, Washington. 

Ex giornalista (Seattle P-I; Tacoma Times; Salem, Ore. Statesman; Santa Rosa, Calif., Press-Democrat; San Francisco Examiner). 

Hobbies: pesca, nuoto, navigazione, volo. 

Sposato/tre figli/figlia, Penelope; figli, Brian e Bruce. Moglie/Beverly. 

Scrisse la sua prima storia a 8 anni. Frank: "Era terribile." 

Vendette la sua prima storia all'età di 17 anni. Frank: "Lo pseudonimo che usai e l'editore rimangono segreti. Ammetterò soltanto che si trattava di un Western." 

Ha viaggiato molto in America Latina, inclusa una memorabile gita attraverso il Messico insieme a Jack e Norma Vance. 

Frank dice che è lunga abbastanza, e che nessuno vuole leggere un sacco di stupidi dettagli sulla sua vita. E' una persona molto timida che è come se passasse attraverso l'inferno ogni volta che deve affrontare una folla, e questo per lui è proprio come affrontare una folla. 


APPUNTI DI FRANK HERBERT PER LA "DUNE OPERA" 

Apre con Paul che si staglia contro uno sfondo diafano: 

Bambino canta, "Quando ero ragazzo." 
OSCURAMENTO 

Bambino più grande canta, "Quando ero ragazzo." 
OSCURAMENTO 

Terzo bambino più grande canta, "Quando ero ragazzo." 
OSCURAMENTO 

Conclude con un trio, tutte e tre le età. 

SIPARIO ALZATO 

Idee per Canzone: 

Duetto con Jessica, "Il mio Duca è morto." 
Paul "E' morto, mio padre è morto." 

"Cavalca il Verme" 

"Amata Chani" 

Duetto con il Barone e Piter: 
Barone: "Perchè mi detestano?" 
Piter: "Perchè ti detestano?" 

Shaddam: "Sono Shaddam, l'Imperatore dell'Universo." 

Chani: "Amo quest'uomo. Non un dio, ma un uomo." 
Chani: "Portami all'estasi." 

Paul: "Non andare là, mia Amata! Nel futuro-" 

(Una questione di velocità [nel Tempo] per procedere più velocemente nel Futuro) 

Chani & Paul, duetto, ambientazione da oasi al chiaro di luna 
Paul: "Dune - dune, dune, dune a perdità d'occhio." 
Chani: "Questa terra adorabile..." 

Hawat: "Tienimi lontano dal male. Liberami dal male." 

Paul: "Gettiamo la nostra realtà sull'Universo come una rete - e quando la rete cade, definendo la forma all'interno di essa - cosa succede quando la forma non coincide con le nostre aspettative?" 

Idaho: "Una spada è una spada è una spada. 
Un uomo è un uomo, ecc. 
Un ragazzo è un ragazzo, ecc. 
Halleck: "Un umore è un umore, ecc." 
Hawat: "Una mente è una mente, ecc." 

Paul: "Perchè sono nato? Sono nato per questo - nato per governare." 
Jessica: "Perchè sono nata? Nata per amare." 

Duetto di Paul e Alia 
Paul: "Sono un vecchio, vecchio uomo. Molte vite possiedo. Questo mondo, questa polvere sotto i miei piedi. Cosa devo predire?" 
Alia: "Mi guardi e vedi quello che non è. Questa bambina non è mai stata una bambina." 

Scena di battaglia, coro: "Noi siamo Fremen." 

Stilgar: "Su di me cade polvere, splendida polvere. Ho visto un verme, lungo quanto una nave spaziale, il Vecchio del Deserto." 

Lamento in chiave minore: 
"Questa tazza di spezia - mi porterà lontano. 
Abbandonerò la mia carne, vivrò un'altra vita attorno ad un'altra stella. 
Melange, lo chiamano - melange, melange!"

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Traduzione: Rymoah


Altri Link

- Brano in lingua originale (apparso originariamente sul sito ufficiale DuneNovels.com)