Dune Italia
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Testo: "Color"

Sihaya
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Questo piccolo testo è stato ispirato al creatore di questo sito, in qualche maniera, dai libri di Frank Herbert. Non giudicatelo troppo severamente.

 

"Eravamo là, lei seduta sul secondo dei tre gradini di marmo bianco non venato, come gli altri due ed il cielo e tutto ciò che ci circondava. Tutt'intorno un peristilio di colonne doriche con la strombatura particolarmente accentuata che conferiva loro una parvenza sofferta, faticosa, reliquie di un tempio il cui tempo permaneva indefinito, recenti, credo, come apparivano i resti dell'intero edificio, intatto il suo chiarore latteo. La costruzione non aveva copertura, solo un timpano cavo nella parte mediana del bassorilievo, delle cui figure, dei cui eroi, nulla restava, nemmeno rovine, nè polvere, nessun ricordo.

Lei sedeva dal lato nudo della struttura, adornata da una veste cinerea che dolcemente ammiccava alla sua nera capigliatura. Tutt'intorno, al di là della base sulla quale si ergeva il tempio, un oceano bianco, immoto, silente, che si estendeva all'infinito, identico a sè stesso, perpetuo, di nuovo, di nuovo, di nuovo. Il cielo, screziato da alcuna nube, a metà tra un candido bianco e un celeste timido, ne era il perfetto complemento. Solo due astri spiccavano in esso, come lievi pesi galleggianti in un quieto stagno, e nessuno di questi era una stella, nessuno di essi emanava luce, nè calore. Due lune, l'una identica all'altra, si stagliavano alla stessa altezza, relativamente a poca distanza; invero una differenza era facilmente osservabile: il caratteristico disegno della loro superficie, identico uno all'altro in tutto e per tutto, era reciprocamente speculare, quasi due poli del creato, bene e male, odio e amore, mediocrità ed eccellenza, diadi eternamente destinate a contrapporsi in una celeste dialettica.

Le colonne del peristilio erano tutte, nessuna esclusa, di un latteo marmo di intonsa purezza; solo la colonna opposta a quella alla quale lei confidente si appoggiava era striata di una nera venatura che si arricciava su se stessa dipingendo quasi un fiocco perfetto, prodigio di una natura celata quanto industriosa. Mi avvicino lentamente a lei, i miei passi riecheggiano nel vuoto, lei si volta, mi fissa, le accenno un sorriso e di lungi osservo la nera striatura all'altra estremità della struttura rispetto a quella ove lei sedeva. Le prendo la mano, la sua sinistra con la mia destra, e nel sedermi lievemente affiora dall'intonsa superficie marmorea, una striatura rossa, un fiocco giocoso identico per forma, dimensioni e sinuosità a quella presente sulla colonna centrale all'altro lato del peristilio, ma questa è rossa, un filo rosso, l'altro nero.

Incomprensibilmente, senza alcuna meraviglia, immerso con ogni senso in quella pulita bellezza perfetta, da tutto protetta, da niente consunta, la fisso e man mano che sprofondo nel dolce naufragio di quelle indicibili e caduche luci -giacchè persino il più tollerante e munifico dei demiurghi non avrebbe sopportato che tale bellezza splendesse per sempre, lui invidioso- le due lune gemelle gradualmente svaniscono confondendosi nella indistinta luce ambientale, luminosa e parca di sè.
Chiuse il libro e svanimmo tra le trame d'un mondo mai stato,
vissuto?
passato,
forse...


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